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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2024, 1 – Gennaio-Marzo 2024

Prima pubblicazione online: Marzo 2024

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000147

Democrazia: rischio di arretramento e opportunità di partecipazione Democracy: risk of backsliding and opportunities for participation

di Antonio Campati

Abstract:

ENGLISH

Il rapporto tra democrazia e dottrina sociale della Chiesa è lungo e complesso. L’articolo ha come obiettivo quello di ricostruirne alcune fasi per contestualizzare l’acceso dibattito in corso sul futuro dei regimi politici contemporanei. Prendendo avvio da un discorso di Papa Francesco ad Atene, verrà proposto un excursus tra diversi documenti del Magistero dei pontefici, dagli ultimi decenni dell’Ottocento ai giorni nostri. Sulla base di questa ricostruzione, il paragrafo finale indica tre questioni che potrebbero essere studiate e affrontate attraverso un dialogo «cordiale» tra dottrina sociale e teoria politica: la regressione democratica, l’affermazione di un trend illiberale, il legame tra rappresentanza e partecipazione.

Parole chiave: Democrazia, Corpi intermedi, Arretramento democratico, Illiberalismo, Rappresentanza politica
ERC: SH2_2; SH5_10

ITALIANO

The relationship between democracy and the social doctrine of the Church is long and complex. The aim of this article is to reconstruct some of its chapters in order to contextualise the current heated debate on the future of contemporary political regimes. Starting from a speech given by Pope Francis in Athens, an excursus is proposed among various documents of the Magisterium of the Popes, from the last decades of the 19th century to the present day. On the basis of this reconstruction, the final section identifies three issues that could be studied and addressed through a «friendly» dialogue between social doctrine and political theory: democratic regression, the affirmation of an illiberal trend, and the link between representation and participation.

Keywords: Democracy, Intermediary Bodies, Democratic Backsliding, Illiberalism, Political Representation
ERC: SH2_2; SH5_10

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L’epoca dello scetticismo democratico

Il 4 dicembre 2021, incontrando le autorità, la società civile e il corpo diplomatico presso il Palazzo presidenziale di Atene, papa Francesco pronuncia un intervento che, per molti versi, non ha ricevuto l’attenzione che meritava, oltre naturalmente alla cronaca degli eventi legati al viaggio apostolico. In un Paese simbolicamente importante per la vita politica dell’Occidente (e non solo), papa Francesco propone un’analisi sulla democrazia che si incrocia con la riflessione che molti scienziati sociali stanno portando avanti ormai da diversi anni. Infatti, il Pontefice parla in termini preoccupati di un «arretramento della democrazia» che si registra in molti paesi del mondo, riferendosi indirettamente proprio agli indici dei report che indicano una costante diminuzione dei regimi democratici o un significativo indebolimento delle loro strutture istituzionali e di garanzia.

Nell’argomentare questo allarme – all’interno di una riflessione di più ampio respiro relativa ad Atene come culla di civiltà capace di orientare verso l’Alto e verso l’altro – il Papa tocca un punto di estremo interesse per gli studiosi della democrazia, quando si sofferma sulla complessità di questo sistema politico. Infatti, ricorda che la democrazia richiede fatica e pazienza, perché deve consentire la partecipazione di tutti i cittadini, la quale, per essere garantita, necessita di una serie di soggetti (come i corpi intermedi), di procedure e di istituzioni che non possono essere orientate esclusivamente dalle regole dell’immediatezza. Non a caso – prosegue il Pontefice – l’autoritarismo è sbrigativo, non favorisce la riflessione e il compromesso: allo stesso modo, le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti in un primo momento, ma poi si rivelano effimere, se non del tutto dannose, per l’instaurazione e il mantenimento di relazione armoniosa e funzionale tra partecipazione e rappresentanza democratica.

Papa Francesco denuncia un pericoloso «scetticismo democratico» – frutto anche dell’insicurezza dominante nelle società ormai anestetizzate dal consumismo – che mina l’essenza della partecipazione di tutti alla vita pubblica, la quale non è solo «un’esigenza fondamentale» necessaria per raggiungere obiettivi comuni, ma è anche la risposta «a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti». Un quadro ulteriormente complicato dallo svuotamento di senso delle parole (o da una loro profonda alterazione): succede a termini come libertà, giustizia, unità, ma anche al vocabolo democrazia (cfr. Fratelli tutti, 2020, 14).

Il legame tra partecipazione e socialità della persona umana è uno dei punti salienti del rapporto tra dottrina sociale della Chiesa e sistema democratico. Le preoccupazioni del Pontefice per la sorte di quest’ultimo sono allora più che giustificate e pertanto devono leggersi soprattutto in quest’ottica le continue sollecitazione a realizzare una «buona politica» (cfr. Fratelli tutti, 176-179) in quanto «arte del bene comune», come rimarca nel discorso di Atene, che non deve essere focalizzata sui risultati immediati (Laudato si’, 2015, 178), ma deve guardare all’interesse lontano. Tali moniti possono apparire persino scontati, ma in realtà rappresentano gli ultimi scampoli di un luogo percorso di avvicinamento, per così dire, tra dottrina sociale della Chiesa e democrazia, laddove la prima ha dato un importante contributo per andare oltre il significato etimologico della seconda (vedi voce Democrazia).

Un (lungo) percorso di avvicinamento

Nel 1864, Pio IX, nell’enciclica Quanta cura, condanna apertamente coloro che sostengono che la «volontà del popolo» possa costituire una «sovrana legge, sciolta da qualunque diritto divino ed umano». Poco meno di due decenni dopo, nel 1881, Leone XIII, nella Diuturnum illud, pur continuando a condannare coloro che sostengono che «ogni potere viene dal popolo», riconosce che: «coloro i quali saranno preposti alla pubblica cosa, in talune circostanze possono venire eletti per volontà e deliberazione della moltitudine, senza che a ciò sia contraria o ripugni la dottrina cattolica». Nel 1885, lo stesso Leone XIII, nella Immortale Dei, sottolinea che le prescrizioni della dottrina cattolica non intendono condannare alcuna delle varie forme di governo, quando esse non abbiano in sé nulla che ripugni alla dottrina cattolica stessa e possano, se applicate con saggezza ed equità, dare un ottimo e stabile assetto alla società. Anzi, si spinge oltre e sostiene che: «non s’intende condannare in sé neppure il fatto che il popolo partecipi, in maggiore o minore misura, alla vita pubblica: il che può rappresentare in certe circostanze e con precise leggi, non solo un vantaggio ma anche un dovere civile». Un concetto ribadito nell’enciclica Libertas (1888), quando ricorda che: «non è vietato preferire un tipo di Stato regolato dalla partecipazione popolare, fatta salva la dottrina cattolica circa l’origine e l’esercizio del pubblico potere».

Com’è noto, Leone XIII è anche l’autore della celebre Rerum novarum (1891), un’enciclica emblematica perché considerata il paradigma letterario e dottrinale al quale le encicliche sociali successive si sono ispirate. Un documento poco conosciuto, ma importante all’interno di questo quadro, è l’enciclica Graves de communi re, scritta sempre da Leone XIII, nel 1901, nella quale viene determinato il senso del vocabolo “democrazia cristiana”. Il pontefice ricorda che non è lecito «dare un senso politico alla democrazia cristiana», perché «sebbene la parola democrazia, chi guardi alla etimologia e all’uso dei filosofi, serva ad indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel caso nostro, smesso ogni senso politico, non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo».

Negli ultimi decenni dell’Ottocento e poi ancor più incisivamente nei primi decenni del secolo seguente, la questione della partecipazione dei cattolici alla vita pubblica e dell’accettazione dei metodi democratici è un tema sensibile, che traspare non solo dai documenti ufficiali della Santa Sede, ma anche dalla riflessione di pensatori che, con le loro idee e con le loro iniziative, diedero un contributo essenziale a porre le basi per la strutturazione del connubio tra democrazia e cattolicesimo (si pensi, per fare due nomi emblematici, a Giuseppe Toniolo e a don Luigi Sturzo).

Il problema democratico

Un punto di svolta di questa lunga storia è rappresentato certamente dal celebre radiomessaggio natalizio di Pio XII del 24 dicembre 1944, nel quale emerge il riconoscimento della democrazia politica come la forma politica più adatta a garantire la pace e il bene comune: «noi indirizziamo la Nostra attenzione al problema della democrazia, per esaminare secondo quali norme deve essere regolata, per potersi dire una vera e sana democrazia, confacente alle circostanze dell’ora presente; ciò indica chiaramente che la cura e la sollecitudine della Chiesa rivolta non tanto alla sua struttura e organizzazione esteriore, – le quali dipendono dalle aspirazioni proprie di ciascun popolo, – quanto all’uomo, come tale, che, lungi dall’essere l’oggetto e un elemento passivo della vita sociale, ne è invece, e deve esserne e rimanerne, il soggetto, il fondamento e il fine». Il pontefice ricorda contestualmente che i governanti devono essere «spiritualmente eminenti e di fermo carattere» e i cittadini devono esercitare una consapevole vigilanza rispetto a chi governa, pur riconoscendone l’autorità effettiva a governare. Per molti studiosi, questo intervento è paradigmatico nella ricostruzione del rapporto tra cattolicesimo e democrazia e, in effetti, da allora in poi, l’attenzione nei confronti di questa relazione è costante sia nelle encicliche sociali (seppur, talvolta, senza menzionare direttamente il termine democrazia), sia nelle riflessioni che, laici e credenti, hanno svolto attorno ad essa. Non è possibile passare in rassegna tutti i documenti, ma certamente è opportuno menzionare qualche caso emblematico. La Mater et magistra (37) mette in risalto – siamo nel 1961 – la partecipazione di un numero crescente di cittadini di «diverse condizioni sociali» nelle attività di molte comunità politiche. Nella Pacem in terris (1963) compare un’espressione emblematica, nel paragrafo 31: Giovanni XXIII scrive che la dottrina esposta nei paragrafi precedenti – ancorata ai principi della dottrina sociale fino ad allora professata – «è conciliabile con ogni sorta di regimi genuinamente democratici», fermo restando naturalmente che l’autorità deriva comunque da Dio; aspetto quest’ultimo che non è considerato in contrapposizione con la natura intrinsecamente sociale dei singoli esseri umani, sulla quale è fondato il principio dottrinale della democrazia (Pavan 1958, 169-169). Come noto, la Populorum progressio di Paolo VI (1967) è assurta ad enciclica che, anche richiamando i documenti precedenti, lega la questione sociale e la questione morale: il compito dei documenti sociali è dunque proiettare sulle questioni sociali la luce del vangelo (cfr. 2). Nella Octogesima Adveniens (1971, 24) si trova un’interessante riflessione sulla duplice aspirazione all’uguaglianza e alla partecipazione rivolta «a promuovere un tipo di società democratica» e, in particolare, sull’importanza dell’«educazione alla vita associata».

L’apprezzamento del sistema democratico

In questa breve rassegna un posto del tutto peculiare lo ricopre Giovanni Paolo II. Nella Laborem exercens (1981) e nella Sollicitudo rei socialis (1987) si trovano tracce di un percorso complesso che, per molti versi, trova un compimento nel 1991 nell’enciclica che celebra i cento anni dalla Rerum novarum. Infatti – come registra anche il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004, 406) – la Centesimus annus segna un punto di svolta perché papa Wojtyła scrive che: «la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato. Un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l’educazione e la formazione ai veri ideali, sia della «soggettività» della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità» (46). In seguito, nell’Evangelium vitae (1995), Giovanni Paolo II ricorda che è sicuramente positivo che la democrazia raccolga un grande apprezzamento in diverse parti del mondo, ma ricorda che essa «non può essere mitizzata fino a farne un surrogato della moralità o un toccasana dell’immoralità»: infatti, è fondamentalmente un «ordinamento» e, come tale, uno strumento e non un fine (70).

Un ulteriore elemento di interesse all’interno di questo lungo itinerario emerge sicuramente dalla Caritas in veritate (2009) perché, nel paragrafo 57, Benedetto XVI auspica che l’autorità che deve governare la globalizzazione deve essere sussidiaria e poliarchica. Questi due termini richiamano certamente concetti che in passato erano già stati evocati tra gli elementi costitutivi del corpus della dottrina sociale della Chiesa (soprattutto il primo), ma ora assumono un carattere di particolare importanza, perché allargano la prospettiva per comprendere le dinamiche di governo e di governance attraverso un chiaro riferimento a uno dei capisaldi della teoria democratica contemporanea (la dimensione poliarchica). Durante il pontificato di papa Francesco, come si ricordava, l’attenzione ai processi democratici è particolarmente presente: recuperando un concetto già espresso durante il suo servizio come cardinale, il Pontefice ha messo in guardia dai rischi di una democrazia a bassa intensità e nel documento Evangelii gaudium (2013) descrive il modello del poliedro come quello più adatto, sia per l’azione pastorale sia per quella politica, perché «riflette la confluenza di tutte le parzialità», le quali, in tal modo mantengono la loro originalità (236), evocando, in tal modo, l’importanza di preservare il pluralismo, caposaldo anche della teoria democratica. Una sensibilità simile è alla base sia del percorso sinodale in corso all’interno della Chiesa cattolica, come esito dell’azione pastorale (distinta, naturalmente, dall’azione di governo), sia dell’invito a riconfigurare il multilateralismo nelle relazioni tra gli Stati auspicata in Laudate Deum (2023, cfr. 37-43).

Dalla rigidità nei confronti della democrazia presente nell’enciclica Quanta cura all’“apprezzamento” espresso ben più di cento anni dopo, fino alle riflessioni sulla poliarchia e sul modello del poliedro, si può sostenere che l’itinerario che descrive i rapporti tra dottrina sociale e sistema democratico è ricco di suggestioni utili anche per comprendere come è cambiata la democrazia, cosa è diventata oggi e quali sfide deve affrontare.

Tre questioni aperte

Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, Pietro Pavan, in un importante contributo sul rapporto tra democrazia e cristianesimo, scrive che tra questi due poli «non solo non vi è nessuna opposizione, ma sussiste una certa connaturalità» (Pavan 1958, 171) e specifica che ciò non significa che ovunque si affermi il cristianesimo lì si afferma anche la democrazia. Però, quando il cristianesimo «si inserisce nelle comunità umane e le penetra di sé, la sua azione si ripercuote anche nell’ordine temporale e prepara il terreno idoneo per la nascita e lo sviluppo di regimi democratici» (Pavan 1958, 178). Il punto che preme rilevare è che, già a quell’epoca, veniva sottolineato l’intrinseco legame tra alcuni principi espressi dalla dottrina sociale della Chiesa e quelli alla base del sistema democratico. Ciò non significa che tali principi siano sempre e comunque coincidenti, tutt’altro, ma sottolineare questa particolarissima «connaturalità» può aiutare a mettere a fuoco alcune sfide che il sistema democratico si trova ad affrontare: così, quello tra teoria politica e dottrina sociale può essere davvero un «cordiale dialogo» (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 76-78) volto all’accrescimento della conoscenza scientifica e alla comprensione dei fenomeni politici. In quest’ottica, ci preme sottolineare tre particolari questioni che possono essere analizzate – ma qui solo accennate – sulla scorta di tale premessa.

Un ordinamento autentico, in crisi

La prima riguarda il tema evocato in apertura, quello della recessione democratica (Palano 2019), ossia il progressivo indebolimento delle democrazie causato dalla cancellazione, più o meno repentina, delle garanzie minime legate al rispetto dei diritti, dei doveri e degli equilibri istituzionali. Come si è ricordato, l’“apprezzamento” per la democrazia espresso nella Centesimus annus è giustificato dal fatto che questo sistema assicura la partecipazione dei cittadini, i quali possono eleggere, controllare e sostituire pacificamente i governanti ed è «autentico» solo all’interno di uno Stato di diritto basato su una retta concezione della persona umana. Nell’arco degli oltre tre decenni da quando fu pubblicata l’enciclica di Giovanni Paolo II ad oggi, lo stato di salute delle democrazie è passato da un (eccessivamente) trionfante ottimismo al pessimismo. Quest’ultimo è giustificato, per un verso, da un progressivo deteriorarsi di alcune pratiche canoniche che consentono l’elezione, il controllo e la sostituzione pacifica dei governanti, per l’altro, in maniera ancor più preoccupante, dalla violazione (o dal tentativo di violazione) di alcune regole dello Stato di diritto, anche da parte di paesi che sono membri dell’Unione europea, dove il requisito minimo per esserne membri è proprio il pieno rispetto di tali regole. In sostanza, l’onda lunga delle grandi trasformazioni che interessano la democrazia potrebbe addirittura essere così impetuosa da minarne le fondamenta.

Trend illiberale

Strettamente connessa a questa prima questione c’è quella relativa al cosiddetto trend illiberale (Campati 2024). Specie in alcuni Paesi nei quali viene denunciata la violazione dello Stato di diritto la proposta alternativa all’assetto tipico della democrazia liberale è quello di una democrazia cristiana illiberale, dove appunto il dato democratico sembrerebbe invariato, ma declinato secondo una prospettiva cristiana e illiberale. Il caso emblematico in tal senso è l’Ungheria: durante il suo viaggio apostolico, nella scorsa primavera, papa Francesco – nel discorso alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico (28 aprile 2023) – ha toccato indirettamente il problema, ma con parole chiare, quando ha ricordato come questo paese «porta in sé la missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace». Il tema è molto delicato e proprio per questo occorrerebbe approfondirlo nella maniera più ponderata possibile (Pappin 2022): infatti, l’ipotesi di una democrazia cristiana illiberale, proposta da Victor Orbàn, presuppone un radicale cambiamento delle coordinate che definiscono non solo il rapporto tra democrazia e cattolicesimo, ma anche tra quest’ultimo e la tradizione liberale – si pensi, per citare almeno un esempio emblematico, alle riflessioni di Benedetto XVI sul tema della libertà proposte nel discorso alla Westminster Hall del 17 settembre 2010. È pur vero che la proposta di democrazia cristiana illiberale è carica di retorica e frutto di un’evidente abilità narrativa, ma non dovrebbe essere sottovalutata o etichettata semplicemente come una variante impazzita dell’esperimento democratico, specie perché il particolare utilizzo della dimensione religiosa affiancata alla riesumazione dell’antica tradizione illiberale viene proposta (e talvolta apprezzata) proprio nei Paesi di più recente democratizzazione e che oggi si trovano nella fase di backsliding.

Il circuito tra partecipazione e rappresentanza

La terza questione da porre in risalto è relativa alle dinamiche che legano la partecipazione e la rappresentanza politica. Basta leggere il capitolo dedicato al sistema della democrazia presente nel Compendio (cfr. 406-416) e praticamente tutte le encicliche sociali per prendere contezza del ruolo davvero decisivo che la dottrina sociale riserva alla partecipazione dei cittadini ai processi decisionali (attraverso i diversi strumenti disponibili: dai partiti ai referendum) e alla rappresentanza politica e alle sue componenti morali (si veda in particolare il n. 410). Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, vengono chiamati in causa direttamente coloro che hanno responsabilità politiche ai quali viene richiesto di esercitare il potere attraverso le virtù di pazienza, modestia, moderazione, carità, sforzo di condivisione.

In breve, la dottrina sociale si occupa di mettere in evidenza sia i caratteri, per così dire, strutturali della rappresentanza e della partecipazione, sia quelli personali, relativi cioè alle qualità dei governanti. Non meno importante è l’invito a tutti i cittadini a partecipare alla vita pubblica, senza quindi lasciare la gestione del potere solo a coloro che sono eletti (evitando ovviamente di confondere i ruoli e le rispettive responsabilità).

Complessità della democrazia

Sulla base di queste premesse, il dialogo con la teoria politica, e con la teoria democratica in particolare, può assumere ulteriori caratteri di estremo interesse, per almeno un paio di ragioni. In primo luogo, un simile incontro rafforza la consapevolezza che la democrazia è un sistema complesso, come sottolineava papa Francesco ad Atene: dopo anni durante i quali alcune suggestioni – relative soprattutto all’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche – ne presentavano il funzionamento come la risultante di procedure immediate e piuttosto semplici, si fa largo la consapevolezza che la democrazia è un sistema composto da una serie di equilibri, spesso precari, che sono bilanciati soprattutto dalle istituzioni, dalle classi politiche, dalle procedure e finanche dalle consuetudini. Quello relativo alla rappresentanza è forse tra i più complessi, perché ha come finalità il “rendere presente ciò che è assente” all’interno di un sistema che si regge sulla legittimità elettorale che autorizza le classi politiche ad agire in nostra vece.

In secondo luogo, il dialogo tra teoria politica e dottrina sociale potrebbe favorire la riattivazione di un percorso di partecipazione attraverso canali formali e informali, diretti e indiretti, alla vita politica delle democrazie, avendo come riferimento la dimensione pluralista, seppur all’interno di un contesto postliberale (Pabst 2021). I dati che indicano una costante disaffezione (soprattutto dei più giovani) alle sorti della democrazia e la conseguente astensione dal voto (non solo dei più giovani) non possono lasciare indifferenti. Lo scetticismo democratico dal quale abbiamo preso le mosse si esprime in modalità differenti e sempre più insidiose. Le possibilità di partecipazione sono ormai molte, attraverso modalità online e offline, ma il punto forse più importante da segnalare in questa fase della storia delle democrazie è l’esigenza di non separare la partecipazione dalla rappresentanza. In altri termini, la giusta spinta a partecipare alla vita pubblica (che, ricordiamolo, si esprime con intensità differenti da parte dei cittadini) deve poi anche concretizzarsi nei canali della rappresentanza per essere realmente inserita nell’agenda politica. Certamente non tutte le pratiche partecipative possono e devono trovare uno sbocco nella rappresentanza formale, ma è importante rilevare come quest’ultima sia un ingranaggio essenziale per il (buon) funzionamento della democrazia.


Bibliografia
• Campati A. (ed.) (2024), Illiberal Trends. Democracies under Pressure, Polidemos-Educatt, Milano.
• Pabst A. (2021), Postliberal Politics. The Coming Era of Renewal, Polity, Cambridge.
• Palano D. (2019), La “recessione democratica” e la crisi del liberalismo, in A. Colombo, P. Magri (a cura di), La fine di un mondo. La deriva dell’ordine liberale, Rapporto annuale ISPI, Milano, 39-51.
• Pappin G. (2022), Contemporary Christian Criticism of Liberalism, in A. Sajó, R Uitz, S. Holmes (edd.), Routledge Handbook of Illiberalism, Routledge, New York and London, 43-59.
• Pavan P. (1958), La democrazia e le sue ragioni, Studium, Roma.


Autore
Antonio Campati, Università Cattolica del Sacro Cuore (antonio.campati@unicatt.it)