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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 1 – Gennaio-Marzo 2021

Prima pubblicazione online: Marzo 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000014

Corpi intermedi Intermediary bodies

di Antonio Campati

Abstract:

ENGLISH

Voce centrale nell’architettura della dottrina sociale della Chiesa. Dopo una necessario riepilogo delle varie declinazioni, la voce metterà in luce le problematicità della collocazione ‘spaziale’ dei corpi intermedi, con particolare attenzione alla relazione tra individuo e Stato e tra persona e società. Inoltre, la voce renderà conto del recente dibattito sulla “rivolta” contro i corpi intermedi, sviluppato secondo diverse declinazioni dalla teoria politica contemporanea. Quest’ultimo verrà messo in relazione al concetto di “rapidaciòn” (Laudato si’, 18).

Parole chiave: Corpi intermedi, Rappresentanza, Istituzioni politiche, Democrazia, Intermediazione
ERC: SH2_1 - SH5_10

ITALIANO

The intermediate bodies are a crucial branch of the Social Doctrine of the Church and, at the same time, they are important elements for democratic theories. They therefore represent a classic topic around which to feed a real debate between the Magisterium and scientific research. This dictionary entry provides the reasons why such a discussion is increasingly urgent, especially in relation to the disintermediation process characterizes contemporary democracies and the challenges that rapidity launch to our time.

Keywords: Intermediary bodies, Representation, Political institutions, Democracy, Intermediation
ERC: SH2_1 - SH5_10

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Una definizione problematica

In linea generale, i corpi intermedi sono “tutte quelle società, variamente denominate, che si pongono come centri di vita e di azione sociale, interna ed esterna, nell’ambito della più vasta società statale” (Tosato 1989, 139). Più precisamente, le comunità intermedie sono raggruppamenti interpersonali, che hanno lo scopo di “proteggere e integrare” la persona nei suoi rapporti con la macro-entità statuale (Grossi 2015, 39), come è sancito anche dall’art. 2 della Costituzione italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. È dunque evidente il nesso tra la presenza e l’azione dei corpi intermedi e il ruolo e le funzioni dello Stato. In realtà, il problema delle “unità associative umane” – per usare l’espressione adoperata da Otto Friedrich von Gierke – ha alle spalle una storia lunga, i cui lineamenti possono essere rinvenuti già nella tradizione greco-romana antica e, poi, in molti altri frangenti storici fino alle più recenti teorie della democrazia. Includendo un così vasto arco temporale, è facilmente comprensibile la difficoltà nel fissare una definizione univoca di corpo intermedio, anche perché l’idea che esso sottende viene spesso espressa con sinonimi (per esempio: comunità intermedie, enti intermedi, formazioni sociali), che però colgono ciascuno una sfumatura concettuale differente.

È forte la tentazione di abbandonare tale categoria proprio a causa della sua problematicità definitoria. Ma, così facendo, si trascurerebbe colpevolmente la persistente attenzione che il Magistero sociale riserva ai corpi intermedi e alle mutevoli forme sociali con cui gli individui si aggregano tra loro (Ornaghi 2004). E, allo stesso tempo, le ricerche volte a studiare la democrazia verrebbero private di un elemento indispensabile per comprenderne le trasformazioni, dal momento che, almeno dalle opere di Alexis de Tocqueville in poi, è largamente accettata l’idea secondo cui i corpi intermedi sono necessari per garantire il pluralismo sociale e politico. Dunque, la riflessione sui corpi intermedi rappresenta ancora un classico tema attorno al quale alimentare un genuino dialogo tra Magistero e ricerca scientifica.

La mediazione nell’epoca della rapidità

Sottolineare l’importanza dei corpi intermedi all’interno della democrazia contemporanea potrebbe apparire un’insistenza fuorviante dal momento che l’accentuazione del protagonismo dei leader, l’utilizzo massiccio dei social media per stabilire una relazione diretta (quindi non mediata) tra élite e popolo e la necessità di predisporre risposte immediate alle diverse urgenze della società globalizzata sono tutti fattori che inducono a pensare che sia in atto un restringimento degli spazi della mediazione. In effetti, è in corso una dura requisitoria contro i corpi intermedi, accusati di rallentare i processi decisionali, di non essere più in grado di rappresentare le istanze dei cittadini e, in buona sostanza, di simboleggiare dei simulacri di un passato ormai alle spalle. Nell’età della disintermediazione, la rapidità sembra essere la principale categoria di legittimazione del potere politico, che dunque minaccia seriamente il perimetro di azione dei corpi intermedi fino a farli apparire del tutto obsoleti.

Tale critica non riguarda solo la dimensione politico-istituzionale, ma si estende anche all’ambito della rappresentanza sindacale, imprenditoriale e degli interessi economici e sociali. È infatti strettamente correlata a una tendenza più generale, in atto da diversi anni e che papa Francesco sottolinea ripetutamente ponendo l’accento sulla rapidación che caratterizza la nostra epoca: “benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica” (Laudato si’, 2015, 18). Un ragionamento simile può essere fatto anche per analizzare l’attuale “crisi” della democrazia contemporanea: la minaccia che le giunge dalla fascinazione per l’immediatezza si scontra con la sua inevitabile preferenza per modelli di rappresentanza e quindi di mediazione. Da un simile contrasto emerge la legittima domanda se, in realtà, le forme di disintermediazione che sembrano minacciare il suo corretto funzionamento non siano altro che forme di neointermediazione. L’esempio più evidente è quello delle piattaforme digitali, le quali, immaginate come l’emblema più evidente di immediatezza, sono anch’esse uno strumento di mediazione – seppur “virtuale” – tra cittadini e leader politici. Ciò non significa sottovalutare le profonde trasformazioni che investono la rappresentanza politica e la rappresentanza degli interessi, ma prendere atto che le mediazioni non sono state annullate dall’ansia per la rapidità. Nonostante l’innegabile sfiducia che li circonda, i partiti politici e i sindacati, per citare i casi più noti, sono ancora ben presenti e attivi all’interno del processo democratico. Così come la miriade di associazioni, enti e gruppi di natura locale (e non solo) che rappresentano a tutti gli effetti la “forza” di una società (Quaglia-Rosboch 2018). Semmai, il problema è che i corpi intermedi non sono più riconosciuti come attori primari di una democrazia.

I corpi intermedi nella dottrina sociale della Chiesa

La significativa attenzione che la dottrina sociale della Chiesa riserva ai corpi intermedi è testimoniata dai molti ambiti nei quali li analizza: in relazione al bene comune, allo Stato, alla sussidiarietà, alla partecipazione, all’economia, al mercato e finanche alla comunità internazionale (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 2004, 168, 186-187, 281, 346, 356, 394, 441). D’altronde, già nella Quod apostolici muneris (1878), Leone XIII sottolinea l’importanza delle “società artigiane e operaie”, così come fa nella Rerum novarum (1891), quando pone l’accento sulle “società particolari” (37) e ricorda che il diritto all’associazione è naturale per l’uomo (38). Anche sollecitati da queste chiare indicazioni del Magistero, in quegli stessi anni (e in seguito) non pochi pensatori hanno orientato i loro studi sul ruolo degli enti intermedi, recependo le posizioni fino ad allora espresse sul tema e aggiornandole alle “cose nuove” del tempo: tra i principali c’è sicuramente Giuseppe Toniolo, ma con lui, molti altri, i quali testimoniano come il costante interesse per questi “corpi” possa essere considerato uno dei pilastri più solidi della dottrina sociale (Ornaghi 2004, 222). Un’ulteriore conferma in tal senso la si può trovare nella Quadragesimo anno (1931) quando – argomentando la necessità di una “riforma delle istituzioni” (78-82) – viene auspicato il mantenimento di un “principio importantissimo nella filosofia sociale”: “siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare” (80). Viene dunque stabilito il principio di sussidiarietà che deve spingere “l’autorità suprema dello Stato” a rimettere “ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa sarebbe più che mai distratta” (81).

La centralità dei corpi intermedi è dovuta principalmente al fatto che questi consentono la piena realizzazione della “socialità dell’uomo”: infatti, le comunità intermedie maturano come reali comunità di persone che “innervano” il tessuto sociale, impendendo che questo scada “nell’anonimato e in un’impersonale massificazione” (Centesimus annus, 1991, 13 e 49). La Chiesa, inoltre, considera la famiglia come la “prima e vitale cellula della società” (Apostolicam actuositatem, 1965, 11), assegnandole la titolarità di diritti propri e originari e ponendola al centro della vita sociale (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 211). È importante che i corpi intermedi godano di una effettiva autonomia nei confronti dei poteri pubblici e che perseguano i loro specifici interessi “in rapporto di leale collaborazione tra essi, subordinatamente alle esigenze del bene comune” (Mater et magistra, 1961, 52). I loro membri devono essere considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva della loro vita, specialmente nei contesti nei quali si associa, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale (Laborem exercens, 1981, 14). Inoltre, è opportuno che svolgano le funzioni che loro competono senza doverle ingiustamente cedere ad altre aggregazioni sociali di livello superiore, dalle quali verrebbero assorbiti, tutelando in tal modo il già ricordato principio di sussidiarietà (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 186), il quale è prima di tutto un aiuto alla persona, capace di esprimersi proprio attraverso l’autonomia dei corpi intermedi (Caritas in veritate, 2009, 57). Tuttavia, non devono perseguire “egoisticamente” il loro interesse particolare, ma devono rispettare gli interessi altrui, nel pieno rispetto del principio di solidarietà (Sollicitudo rei socialis, 1987, 39).

Per pervenire al loro pieno sviluppo, i corpi intermedi hanno necessità di istituzioni politiche, la cui finalità è quella di rendere accessibili alle persone i beni necessari per condurre una vita veramente umana (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 168), quindi per tutelare il bene di quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e, appunto, gruppi intermedi uniti in una comunità sociale (Caritas in veritate, 7). In tal senso, l’autorità politica deve “ordinatamente favorire” e non ostacolare i corpi o istituti intermedi, né privarli delle loro legittime ed efficaci attività (Gaudium et spes, 1966, 75). Ciò è valido anche per quanto riguarda la comunità mondiale, che ha lo scopo di creare un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, e quindi i rispettivi cittadini e corpi intermedi, possano svolgere i loro compiti e adempiere i loro doveri (Pacem in terris, 1963, 74). Allo stesso tempo, la società – proprio attraverso organismi non governativi e corpi intermedi – deve fare pressione sui governi, affinché siano obbligati a sviluppare normative, procedure e controlli rigorosi su tematiche cruciali per i nostri tempi (Laudato si’, 179) e, spesso, sono proprio le organizzazioni della società civile a compensare le “debolezze” della Comunità internazionale (Fratelli tutti, 2020, 175). Infine, per fare in modo che i “gruppi sussidiari” (Octogesima adveniens, 1971, 46) possano contribuire al bene comune, sono ugualmente importanti le istituzioni economiche: queste, infatti, devono porsi al servizio dell’uomo, avendo un’attenzione particolare soprattutto per alcune categorie di beni, collettivi e di uso comune, la cui utilizzazione non può dipendere dai meccanismi del mercato e non è neppure di esclusiva competenza dello Stato. Quest’ultimo ha quindi il compito – in relazione a tali beni – di “valorizzare tutte le iniziative sociali ed economiche che hanno effetti pubblici, promosse da formazioni intermedie” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 356).

Le basi per un nuovo equilibrio

Una visione ampia sul tema dei corpi intermedi come frutto di un dialogo tra dottrina sociale della Chiesa e scienze politiche e sociali deve basarsi su due questioni dirimenti. La prima è legata alla definizione dei soggetti che sono al centro della mediazione. Si è visto che questi sono principalmente il cittadino e lo Stato, laddove spesso il primo, grazie ai corpi intermedi, si “difende” dall’invadenza del secondo. Ma una prospettiva che tenta di superare tale impostazione – in stretta relazione al principio di sussidiarietà e nel quadro dell’antropologia sociale cristiana – prevede che i corpi intermedi non medino tra individuo e Stato, ma tra persona e società perché danno forma, prima che al diritto, all’intenzione di associarsi (Brambilla 2019, 49). All’interno di questa prospettiva ‘spaziale’, non si può evitare di considerare un’altra relazione, quella tra Stato e mercato, con una particolare attenzione al “terzo pilastro” che si frappone tra essi, rappresentato dalle comunità (Rajan 2019).

La seconda questione, strettamente connessa alla prima, riguarda l’immediatezza. Da questo punto di vista, si registra una convergenza tra gli studi politici e il Magistero perché entrambi riservano una particolare attenzione al “dramma di una politica focalizzata sui risultati immediati” (Laudato si’, 178). Infatti, se, per un verso, come si è accennato, la teoria democratica si interroga sulle ricadute dei processi di immediatezza sul sistema della rappresentanza, dall’altro, il Magistero ha indicato nell’“interesse immediato” una vera e propria “espressione degenerata di un’autorità popolare” (Fratelli tutti, 161). In entrambi i casi, è ancora chiamata in causa l’articolazione della democrazia e, in particolare, l’“equilibrio” tra l’autonomia delle “forme organizzative della società” e l’“azione tempestiva di coordinamento e di indirizzo da parte del potere politico” (Mater et magistra, 53).

Tale equilibrio è stato oggi alterato proprio da una logica concentrata sull’“ossessione dei risultati immediati” (Evangelii gaudium, 2013, 223), che, da un lato, alimenta l’illusione circa l’inadeguatezza dei corpi intermedi, dall’altro, esalta l’“azione tempestiva” dei governi (che è pure necessaria in determinati frangenti). Sulla scorta di queste osservazioni, il dialogo tra teoria politica e Magistero sociale può allora fornire valide indicazioni per delineare i contorni di un nuovo bilanciamento tra questi attori della democrazia, la cui storia verrebbe arricchita con un capitolo utile a comprenderne le più recenti trasformazioni.


Bibliografia
Brambilla F.G. (2019), I corpi intermedi, figure del noi sociale. Per lo sviluppo della persona e la giustizia nella società, Vita e Pensiero.
Grossi P. (2015), Le comunità intermedie tra moderno e pos-moderno, Marietti.
Ornaghi L. (2004), Corporativismo, in Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Scienze sociali e Magistero, Vita e Pensiero, pp. 221-224.
Quaglia G., Rosboch M. (2018), La forza della società. Comunità intermedie e organizzazione politica, Aragno.
Tosato E. (1989), Persona, società intermedie, Stato. Saggi, Giuffrè.


Autore
Antonio Campati, Università Cattolica del Sacro Cuore (antonio.campati@unicatt.it)