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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Democrazia

di Sergio Zaninelli

1. Il termine, inequivocabile nel suo significato etimologico di regime politico nel quale il popolo esercita il potere, o più sinteticamente, come governo di popolo, fa tuttavia rifermento a una molteplicità di esperienze storiche e di classificazioni teoriche in continua evoluzione. Si distingue così una democrazia degli antichi da una democrazia dei moderni (fa da spartiacque il modello democratico liberale, che nasce con le due rivoluzioni americana e francese e quindi con la fine del secolo XVIII); una democrazia sostanziale da una democrazia formale, una democrazia politica da una democrazia sociale e da una democrazia economica, una democrazia diretta da una democrazia indiretta, una democrazia parlamentare da una democrazia presidenziale (e sino a poco tempo fa una democrazia borghese o capitalista da una democrazia socialista).

La dottrina sociale della Chiesa ha dato un suo contributo per andare oltre il significato etimologico del termine intorno a una prima, ineludibile questione centrale: per essa “popolo” non è massa. La contrapposizione è netta e non lascia spazio ad equivoci. Il popolo si identifica con una realtà che vive di vita propria, come insieme di uomini che, nei rispettivi ruoli, esprime un proprio modo di pensare e assume coerentemente le sue responsabilità. All’opposto la massa non è capace di una sua vitalità autonoma e quindi agisce per impulsi esterni senza una linea di coerenza. Di conseguenza il rapporto con l’organizzazione politica e, in sostanza, con lo Stato viene ad essere radicalmente diverso: quello del popolo è un rapporto che si nutre di ciò che esso sa esprimere, in volontà e responsabilità; quello della massa è un rapporto passivo, di cui lo Stato si può servire attraverso la strumentalizzazione di stati emotivi e irrazionali. «Da ciò appare chiara un’altra conclusione: la massa – quale noi abbiamo or ora definita – è la nemica capitale della vera democrazia e del suo ideale di libertà e di uguaglianza» (Il problema della democrazia, 8). Questa precisazione ha un particolare rilievo sostanziale, se si ha presente il momento storico in cui fu oggetto di un pronunciamento complesso e articolato, cioè quel Natale del 1944, sesto della seconda guerra mondiale, in cui un’esperienza disastrosa di manipolazione delle masse stava andando verso un epilogo tragico, ma contemporaneamente ci si preparava a ricostruire un ordine internazionale e nazionale di popoli decisi a ritrovare, dopo essere passati attraverso la sofferenza, la propria identità.

2. Ma se è da ritenere pertinente il contributo dato nel definire in positivo il soggetto “popolo”, parimenti lo è il contributo nel condannare con coerenza la deformazione alla quale può essere soggetta la democrazia attraverso le varie forme di elitarismo, soprattutto tecnocratico, e le oligarchie più o meno mascherate. E poiché è caratteristica costitutiva della dottrina sociale della Chiesa il realismo dettato dall’attitudine e dalla capacità di una lettura dei tempi, ecco l’insistenza – nello stesso documento del ’44, ma che mantiene più che mai tutta la sua validità nel presente – sui requisiti di coloro che si assumono la funzione di governare in un regime democratico. Essi devono essere animati da convinzioni profonde sui principi di un ordine politico e sociale e conforme alle norme del diritto e della giustizia. In qualsiasi forma di regime democratico i rappresentanti del popolo esercitano, in tutto o in parte, il potere legislativo. E poiché il centro di gravità di una democrazia normalmente costituita ha il suo fondamento nella rappresentanza popolare, «da cui le correnti politiche s’irradiano in tutti i campi della vita pubblica – così per il bene come per il male – la questione della elevatezza morale, della idoneità pratica, della capacità intellettuale dei deputati al parlamento è per ogni popolo in regime democratico una questione di vita o di morte, di prosperità o di decadenza, di risanamento o di perpetuo malessere» (ivi, 11). Nel contesto conciliare si dirà ancor più esplicitamente che «la Chiesa stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che per servire gli uomini si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità» (GS, 75).

A queste esplicite acquisizioni di principio sulla democrazia la dottrina sociale della Chiesa è pervenuta a partire da una posizione di indifferenza verso le diverse forme di governo attraverso quella che correttamente è stata chiamata la lunga marcia verso la modernità (Campanini) compiuta nel corso del Novecento e certamente in rapporto a una evoluzione dello stesso concetto di democrazia, a partire da una nozione sovranità popolare che negava ogni altra fonte di autorità e che approda poi a una costituzionalizzazione del potere. Una marcia in cui hanno giocato un ruolo di stimolo e di accelerazione due grandi fenomeni che hanno consentito appunto un’efficace lettura dei tempi: a) l’assunzione di responsabilità da parte di formazioni partitiche, in ragione di deleghe democratiche, e il formarsi di un pensiero politico di ispirazione cristiana favorevole alla democrazia e b) le devastanti esperienze di totalitarismo in gran parte dell’Europa (in netta differenziazione con quelle dei Paesi di lingua e tradizione anglosassone, Inghilterra e Stati Uniti in primo piano, nei quali la positività del governo del popolo trovava conferma sia pure manifestando anche limiti).

Emblematica a proposito delle esperienze storiche è l’evoluzione che hanno avuto l’atteggiamento della Chiesa, da una parte, e la riflessione, dall’altra, nell’ambito del movimento cattolico italiano sul significato da attribuire alla teoria e alla prassi democratica. Da quella che è stata una contrapposizione tra due concezioni, quella di Toniolo e quella di Murri, si è formata una cultura politica che ha poi portato a una scelta democratica sostanziale che si è trasfusa in un testo costituzionale e in una pratica che, nel secondo dopoguerra, ha consentito uno sviluppo civile radicalmente nuovo nella storia dello Stato italiano.

3. L’approdo della dottrina sociale della Chiesa alla democrazia va visto in secondo luogo nel contributo irrinunciabile all’affermarsi di un’antropologia su cui fondare la scelta democratica: «È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti. Si ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la promozione del bene comune» (GS, 75). Ne deriva che «la Chiesa apprezza il sistema della democrazia in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno», ma nel contempo precisa che «un’autentica democrazia è possibile solo in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana» (CA, 46). È quindi dalla nozione di persona che scaturisce – per la dottrina sociale della Chiesa – il complesso dei diritti che lo Stato deve riconoscere per consentire alla persona stessa di conseguire le finalità che le sono proprie. Anzi, nel ribadire che «la Chiesa rispetta la legittima autonomia dell’ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzionale o costituzionale, [essa rivendica] il contributo, che offre a tale ordine, [cioè] quella visione della dignità della persona, la quale si manifesta in tutta la sua pienezza nel mistero del Verbo incarnato» (ivi, 47). Tra questi diritti sono da ricordare come principali quello alla vita, quello alla famiglia, quello all’istruzione, quello al lavoro, quello all’educazione dei figli, non trascurando che per il Papa alla radice di tutti sta il diritto alla libertà religiosa (cfr. ibid.).

4. L’insistenza sui valori fondanti la democrazia porta, in terzo luogo, a un aperto ed esplicito chiarimento sul rapporto tra verità e politica, rapporto al quale il sapere politologico è particolarmente interessato, alimentando un dibattito destinato a restare permanentemente aperto, per le implicazioni teoriche e pratiche che esso ha, a contrapposte opzioni. La posizione della dottrina sociale della Chiesa chiarisce essa stessa i termini in cui si presenta la questione: la premessa è il convincimento diffuso e sempre più radicale che l’agnosticismo e il relativismo scettico costituiscono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche e che di conseguenza quanti sono convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sarebbero affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. «A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia. Né la Chiesa chiude gli occhi davanti al pericolo del fanatismo, o fondamentalismo, di quanti, in nome di un’ideologia che si pretende scientifica o religiosa, ritengono di poter imporre agli altri uomini la loro concezione della verità e del bene. Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell’uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette. La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà. Ma la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza e l’uomo è esposto alla violenza delle passioni e a condizionamenti aperti od occulti. Il cristiano vive la libertà (cfr. Gv 8, 31-32) e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell’esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della ragione» (CA, 46). Ma soprattutto non condividerà mai l’affermazione che il pluralismo etico sia condizione per la democrazia.

Pur attento all’importanza e quindi alle regole procedurali o regole del gioco che qualificano la democrazia e ai difformi modi di declinarne il concetto, l’orientamento della dottrina sociale della Chiesa ne privilegia, con i valori fondanti, la valenza educativa, per i singoli e per le comunità, alla responsabilità e alla partecipazione nella determinazione del bene comune: lo prova, se ce ne fosse bisogno, la valutazione tutta positiva degli avvenimenti successivi al 1989 in quanto «da questo processo storico sono emerse nuove forme di democrazia, che offrono la speranza di un cambiamento nelle fragili strutture politiche e sociali, provate dall’ipoteca di una penosa serie di ingiustizie e di rancori, oltre che da un’economia disastrata e da pesanti conflitti sociali» (ivi, 22).

5. E infine sulla premessa tanto di una critica mai venuta meno al predominio della logica di mercato e alla gestione autocritica del governo dell’impresa quanto dell’accoglimento di una realtà economica e sociale in continua evoluzione, la dottrina sociale della Chiesa ha colto la positività dell’inevitabile connessione tra lavoro e democrazia. Attraverso situazioni storiche profondamente differenziate – a partire dalla totale estraneità e marginalità del lavoro, proprie del trionfo del mercato di fine Ottocento, sino ai problemi inediti posti dalla globalizzazione – viene ricordato che «è questo – e la Chiesa non si stancherà mai di ripeterlo! – il nodo gordiano da sciogliere, il punto cruciale in rapporto al quale le prospettive economiche e politiche devono porsi, per precisare i loro fondamenti e le loro possibilità di incontro», cioè che «a ogni uomo venga riconosciuto il diritto a partecipare attivamente alla vita pubblica, in vista della realizzazione del bene comune. Tuttavia come si può garantire la partecipazione alla vita democratica a qualcuno che non è convenientemente tutelato sul piano economico e che manca del necessario?» (Il modello di uno Stato sociale moderno resta manifestazione di autentica civiltà e strumento per la difesa dei più poveri, 7).

Con questa domanda si apre la questione della democrazia sostanziale: l’uguaglianza degli uomini non può essere solo riferita ai diritti, ma anche alle opportunità che vanno garantite per ridurre le disuguaglianze sociali, così come non è solo partecipare alla designazione di quanti devono governare, ma accedere di persona, direttamente, ai meccanismi di decisione sulla distribuzione dei mezzi materiali. Alla democrazia rappresentativa – con le sue crescenti difficoltà di essere autenticamente tale (come provano astensionismo, crisi di associazionismo e così via) – va affiancata una democrazia partecipativa.

Alla disuguaglianza sociale si è data una risposta con lo Stato sociale, degenerato in Stato assistenziale: di qui la necessità di un ulteriore sviluppo del sistema democratico che venga corretto sia da processi referendari di partecipazione diretta sia da corresponsabilità a livello delle istituzioni nazionali e internazionali come delle imprese in cui realizzare autentiche comunità di lavoro.


Autore
Sergio Zaninelli

[Scheda autore ripresa da Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Scienze sociali e Magistero, 2004, e non aggiornata]

Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dal 1998 al 2002, è professore ordinario di Storia economica. Direttore dell’Istituto di Storia economica e sociale “Mario Romani”. Direttore dell’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia. È stato presidente della Società italiana degli storici dell’economia. Membro dell’Accademia Roveretana degli Agiati. Membro del comitato scientifico della Fondazione G. Pastore. Membro della Società di studi storici trentini. Presidente del comitato scientifico del Museo di usi e costumi della gente trentina. Tra le più recenti pubblicazioni: Stato e industria nel Regno Lombardo-Veneto, in Lo Stato e l’economia tra Restaurazione e Rivoluzione. L’industria, la finanza e i servizi (1815-1848), a cura di I. Zilli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1997; L’economia nella storia d’Italia del secolo XIX, Giappichelli, 1999 (2ª ed.); La modernizzazione dell’agricoltura italiana tra Ottocento e Novecento, in Scienza, tecnica e modernizzazione, Franco Angeli, 2000.