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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 1 – Gennaio-Marzo 2021

Prima pubblicazione online: Marzo 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000016

Welfare: un approccio giuridico Welfare: a legal approach

di Matteo Corti

Abstract:

ENGLISH

All’inizio del suo lavoro, l’autore descrive brevemente l’evoluzione del welfare state dalla sua origine, radicata nei drammatici cambiamenti sociali derivanti dalla rivoluzione industriale, fino alle prospettive più recenti, aperte dall’integrazione europea. L’autore prosegue con il considerare la dottrina sociale della Chiesa relativa a questo ambito, delineando l’importante contributo che ha fornito alla creazione e allo sviluppo del welfare state. L’ultima parte è dedicate al modello di welfare state proposto dalla dottrina sociale cattolica: un sistema fraterno di sicurezza sociale, fondato sui principi di solidarietà, sussidiarietà e responsabilità. Tale modello, che implica una forte etica del lavoro, è in totale contrasto con qualsiasi proposta di reddito di base incondizionato, che mira a liberare la persona dal lavoro.

Parole chiave: Welfare State, Stato sociale, Previdenza sociale, Assistenza sociale, Assicurazioni sociali, Modello occupazionale, Modello universalistico, Sussidiarietà, Solidarietà, Responsabilità, Lavoro, Reddito minimo incondizionato
ERC: SH2_2 - SH2_8

ITALIANO

At the beginning of his work, the author briefly describes the evolution of welfare state from its origin, rooted in the dramatical social changes brought about by the industrial revolution, to the most recent perspectives, disclosed by the European integration. Then, the author deals with the social doctrine of the Catholic Church in this domain, outlining the important contribution which it has given to the coming into being and development of the welfare state. The final part is devoted to the model of welfare state proposed by the Catholic social doctrine: a fraternal social security system, based on the principles of solidarity, subsidiarity and responsibility. Such a model, which implies a strong ethic of work, is completely at odds with any proposal of unconditional basic income, which aims at liberating the person from work.

Keywords: Welfare State, Social security, Social assistance, Social insurance, Occupational model, Universalistic model, Subsidiarity, Solidarity, Responsability, Work, Unconditional basic income
ERC: SH2_2 - SH2_8

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1. Il Welfare State: le origini.

Il Welfare State (Stato del benessere, più frequentemente tradotto in lingua italiana con Stato sociale) è una conquista della civiltà europea, faticosamente edificata nel continente a partire dalla fine del XIX secolo (Ritter 2003). I suoi gracili antecedenti si rinvengono nelle misure in favore dei poveri contenute nelle Poor Laws inglesi, il cui prototipo è rappresentato dall’Act for the Relief of the Poor di Elisabetta I del 1601, che fece scuola anche nei Paesi scandinavi. Nell’Europa continentale e mediterranea, invece, i poteri pubblici dell’epoca preindustriale si sono tradizionalmente astenuti dall’intervenire direttamente in questo ambito, cosicché l’assistenza ai poveri e ai bisognosi è stata tradizionalmente appannaggio della Chiesa, attraverso i suoi numerosi enti caritatevoli. Peraltro, il sistema delle Poor Laws presentava, specialmente per gli assistiti in grado di lavorare, tratti marcatamente punitivi e stigmatizzanti, che assimilavano le workhouses, in cui essi erano tenuti a prestare la propria opera, a vere e proprie prigioni (Ferrera 2019, 18).

L’origine del Welfare State affonda le proprie radici nei travagli dell’industrialismo, quando masse sempre più ingenti di lavoratori si spostarono dalle campagne alle città per alimentare il fabbisogno di manodopera delle nascenti fabbriche. Mentre le prime generazioni rimanevano legate al mondo contadino e vi ritornavano una volta conclusa l’esperienza operaia, con il tempo si costituì un ampio strato di proletari, che non potevano più contare sulla solidarietà della famiglia allargata, da sempre dominante nelle campagne. Del resto, nelle città essi non potevano più godere nemmeno delle tutele che le corporazioni avevano garantito nei secoli precedenti tanto ai padroni che ai loro apprendisti e lavoratori, sotto l’occhio vigile delle autorità civili ed ecclesiastiche: la Rivoluzione francese le aveva spazzate via dal suolo europeo, insieme ad altri retaggi dell’ancien régime, e la restaurazione ottocentesca, impregnata dei valori mercantilistici cari alla borghesia liberale, non le riportò in vita. Per conseguenza, cominciarono a rimanere insoddisfatti bisogni basilari di protezione che si presentano in taluni tornanti cruciali della vita, quali gli infortuni, la malattia, la disabilità, la disoccupazione, la gravidanza e la maternità, la vecchiaia. E ciò, per di più, avveniva nei contesti produttivi degli opifici ottocenteschi, ove i rischi per la salute dei lavoratori e la discontinuità occupazionale erano particolarmente elevati.

Le prime reazioni dei legislatori nazionali furono caute e ispirate da preminenti ragioni di ordine pubblico. Nella Germania bismarckiana, che inaugurò la nuova legislazione introducendo le assicurazioni sociali contro gli infortuni, l’invalidità, la malattia e la vecchiaia negli anni ’80 del XIX secolo, uno degli obiettivi principali era indebolire il nascente movimento operaio e il partito socialdemocratico, che miravano a mutamenti rivoluzionari dell’assetto economico e sociale del Paese (Ritter 2003, 66). Ad ogni modo, l’esempio bismarckiano ha segnato profondamente la storia dello Stato sociale: il modello di welfare imperniato sulla solidarietà tra i produttori ha costituito l’archetipo su cui sono stati plasmati la gran parte dei sistemi continentali, compreso il nostro. E così, alla vigilia del primo conflitto mondiale la maggioranza degli Stati dell’Europa occidentale aveva introdotto schemi pubblici di assicurazione o di previdenza, obbligatori o volontari, con riferimento alla malattia, alla vecchiaia e agli infortuni (Ritter 2003, 87).

2. Il Welfare State e l’identità europea.

L’opera di espansione e rafforzamento continuò tra le due guerre: questo oscuro periodo della storia europea vide almeno la luce della Costituzione di Weimar, la prima Costituzione di Stato sociale. Essa rappresentò il modello per le altre carte fondamentali del Secondo dopoguerra, che affiancarono ai diritti di libertà classici ambiziosi elenchi di diritti sociali. Nella Costituzione italiana, ad es., l’art. 38 impegna lo Stato a garantire ai lavoratori “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”, nonché il “mantenimento e l’assistenza sociale” a coloro che sono inabili al lavoro (cfr. Ferrante, Tranquillo, 8-10); l’art. 32, poi, gli impone di assicurare “cure gratuite agli indigenti”.

In Europa, nel corso del XX secolo, si sono delineate due grandi famiglie di sistemi di Welfare State, come rivelano gli studi politologici: il modello universalistico, caratteristico del Nord Europa, nel quale gli schemi di protezione sociale abbracciano tutti i cittadini, a prescindere dalla loro condizione lavorativa, e quello occupazionale, diffuso nell’Europa continentale e mediterranea, nel quale la tutela è modulata su di una pluralità di regimi che coprono in primis i lavoratori (Tab. 1) (Ferrera 2019, 37 ss.).

Tabella 1

Il primo gruppo si suddivide in due ulteriori archetipi. Il modello anglosassone si fonda sulla fiscalità generale e attua parzialmente le teorizzazioni di Lord Beveridge, che già durante la Seconda Guerra mondiale elaborò i principi alla base, tra l’altro, del National Health Service, istituito nel 1948 con l’obiettivo di garantire a tutti i cittadini una sanità gratuita e di buona qualità. Il modello scandinavo costituisce una versione più ambiziosa e generosa di quello anglosassone, realizzando la solidarietà generale con un uso più massiccio della leva fiscale ed effetti di maggiore redistribuzione.

Anche la famiglia dei sistemi di welfare occupazionale si articola in due ulteriori modelli: quello continentale, che, sulla scorta dell’archetipo bismarckiano, impernia il sistema di Stato sociale sulla solidarietà professionale dei produttori; quello mediterraneo, che, pur presentando spiccate affinità con quest’ultimo, si distingue per una copertura più discontinua e una maggiore resilienza dei meccanismi di aiuto reciproco interni alle comunità familiari. Va, peraltro, osservato che nel corso del tempo i succitati modelli hanno subito consistenti fenomeni ibridativi, avvicinandosi sotto molteplici aspetti: questi processi sono stati senza dubbio accelerati dall’opera di coordinamento dell’Unione europea.

Nonostante tali sensibili contaminazioni, non esiste ancora un paradigma europeo di Welfare State, né tanto meno un Welfare State europeo. Lo Stato sociale si pone al cuore del contratto sociale con il quale gli Stati europei hanno ridefinito la propria identità, risalendo dall’abisso nel quale i nazionalismi avevano sprofondato il continente durante la Seconda Guerra mondiale: per conseguenza, ne sono particolarmente gelosi e assai restii a cederne le prerogative a istituzioni sovranazionali (la persistente diversità dei Welfare States nazionali emerge con evidenza dalle spese annualmente destinate ai diversi capitoli di spesa: v. Tab. 2). L’UE si riconosce, però, come “economia sociale di mercato […], che mira alla piena occupazione e al progresso sociale” (art. 3, par. 3, Trattato dell’Unione europea) e i diritti sociali sono parte integrante della tavola di valori comuni degli Stati membri, essendo contemplati massicciamente dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2001 e dal più recente Pilastro europeo dei diritti sociali, adottato a Stoccolma il 17 novembre 2017. Si può, dunque, ben concludere che il Welfare State costituisce parte integrante dell’identità europea.

Tabella 2 - Spesa totale delle amministrazioni pubbliche per la protezione sociale, 2018 (% del PIL)

(Fonte: Eurostat - Gov_10a_exp)

3. La previdenza delle origini e l’enciclica leonina.

L’enciclica leonina si colloca agli albori della costruzione dello Stato sociale: nel 1891 soltanto in Germania erano state poste le basi del sistema previdenziale pubblico, mentre nel resto dell’Europa predominavano ancora le esperienze solidaristiche di auto-organizzazione del movimento operaio o di collaborazione tra datori e lavoratori, nonché gli interventi di carattere assistenziale degli enti locali e le attività caritatevoli di enti ecclesiastici o di singoli filantropi. Proprio nel 1886 in Italia era stata approvata la legge n. 3818 sulle “società operaie di mutuo soccorso”: essa mirava a radicare e sostenere i fenomeni di mutualismo volontario che si ponevano l’obiettivo di “assicurare ai soci un sussidio, nei casi di malattia, d’impotenza al lavoro o di vecchiaia”, nonché di “venire in aiuto alle famiglie dei soci defunti”.

L’enciclica mostra grande favore per le “società di mutuo soccorso”, come anche per “le molteplici assicurazioni private destinate a prendersi cura dell’operaio, della vedova, dei figli orfani, nei casi d’improvvisi infortuni, d’infermità, o di altro umano accidente; i patronati per i fanciulli d’ambo i sessi, per la gioventù e per gli adulti” (Rerum novarum, 1891, 36). Per l’enciclica le forme di aggregazione privilegiata sono costituite dalle “corporazioni di arti e mestieri, che nel loro complesso contengono quasi tutte le altre istituzioni. Evidentissimi furono tra i nostri antenati i vantaggi di tali corporazioni” (ibid.). In particolare, l’enciclica incoraggia l’istituzione di associazioni cattoliche di operai, o miste di operai e datori, chiamate a “provvedere che all’operaio non manchi mai il lavoro, e vi siano fondi disponibili per venire in aiuto di ciascuno, non soltanto nelle improvvise e inattese crisi dell’industria, ma altresì nei casi di infermità, di vecchiaia, di infortunio” (Rerum novarum, 43).

Nell’enciclica leonina non manca un cenno all’assistenza sociale: “se qualche famiglia si trova per avventura in sì gravi ristrettezze che da sé non le è affatto possibile uscirne, è giusto in tali frangenti l’intervento dei pubblici poteri, giacché ciascuna famiglia è parte del corpo sociale” (Rerum novarum, 11).

4. La maturità dello Stato sociale: il sostegno delle encicliche sociali.

Nella fase di edificazione e maturità del Welfare State il magistero sociale della Chiesa esprime un sostegno deciso alle politiche pubbliche indirizzate a tali fini. Se nella Quadragesimo anno del 1931 vi è ancora soltanto un cenno generale alla più intensa politica sociale germinata grazie al contributo della Rerum novarum (cfr. Quadragesimo anno, 26-28), già nella Mater et magistra del 1961 si evidenzia che “lo sviluppo dei sistemi d’assicurazione sociale, e, in alcune comunità politiche economicamente sviluppate, l’instaurazione di sistemi di sicurezza sociale” appartengono ai mutamenti più significativi della contemporaneità (Mater et magistra, 36).

Il giudizio complessivamente positivo della Mater et magistra (cfr. 47-48) è ribadito e approfondito un paio di anni più tardi nella Pacem in terris. Il diritto al welfare viene espressamente elevato al rango di diritto umano: “ogni essere umano […] ha quindi il diritto alla sicurezza in caso di malattia, di invalidità, di vedovanza, di vecchiaia, di disoccupazione, e in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà” (Pacem in terris, 1963, 6). Il compito di operare affinché “allo sviluppo economico si adegui il progresso sociale”, segnatamente affinché, “al verificarsi di eventi negativi o di eventi che comportino maggiori responsabilità familiari, ad ogni essere umano non vengano meno i mezzi necessari a un tenore di vita dignitoso”, è affidato ai “poteri pubblici”, che in tal modo si rendono attuatori del bene comune (Pacem in terris, 39). Anche Papa Francesco, nella Laudato si’, riconduce al bene comune “i dispositivi di benessere e sicurezza sociale” (Laudato si’, 157).

In effetti, nell’edificare una “rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale” gli Stati contribuiscono “in parte a tradurre in atto la destinazione comune dei beni” (Gaudium et spes, 1966, 69), a più riprese sottolineata e valorizzata dalla dottrina sociale della Chiesa come temperamento all’assolutizzazione del diritto di proprietà privata propugnata dal capitalismo e dal liberismo. Il concetto viene ripreso da Giovanni Paolo II nella Laborem exercens del 1981 con precipuo riferimento agli schemi di protezione del reddito in caso di disoccupazione: “il dovere […] di corrispondere le convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie è un dovere che scaturisce dal principio fondamentale dell’ordine morale in questo campo, cioè dal principio dell’uso comune dei beni o, parlando in altro modo ancora più semplice, dal diritto alla vita ed alla sussistenza” (Laborem exercens, 18).

5. La critica dell’assistenzialismo.

La riflessione del magistero sociale della Chiesa non si è limitata ad appoggiare la creazione del Welfare State e a puntellarne lo sviluppo e il consolidamento, ma, nella fase di maturità, ha offerto anche preziose indicazioni sulla sua auspicabile evoluzione. Già nella Mater et magistra Giovanni XXIII aveva intuito i rischi insiti nella degenerazione dello Stato sociale in Stato assistenziale: quest’ultimo accompagna il cittadino dalla culla alla tomba, ma a prezzo di una intollerabile restrizione del raggio di libertà nell’agire delle singole persone, cosicché per esse diventa difficile pensare in modo indipendentemente dagli influssi esterni, operare di propria iniziativa ed esercitare la propria responsabilità (cfr. Mater et magistra, 48; Gaudium et spes, 69).

La critica si precisa e circostanzia nella Centesimus annus di Giovanni Paolo II, ove lo “stato assistenziale” è anche letteralmente evocato e accompagnato da un duro giudizio: là dove lo Stato interviene direttamente e deresponsabilizza la società, esso “provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche […], con enorme crescita delle spese” (Centesimus annus, 1991, 48).

6. Il welfare “cattolico”: solidarietà nel rispetto della sussidiarietà.

La soluzione proposta dalla dottrina sociale della Chiesa a queste disfunzioni del Welfare State maturo risiede nel dispiegamento del principio della sussidiarietà, che risponde pienamente alla vocazione dell’uomo alla libertà che gli è stata impressa dal suo Creatore. Specialmente là dove la risposta al bisogno non debba essere soltanto di tipo materiale, “conosce meglio il bisogno e riesce meglio a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso” (Centesimus annus, 48).

Il concetto viene ripreso e ampliato nelle condizioni ben diverse del nuovo secolo, quando i meccanismi solidaristici dello Stato sociale sono messi a dura prova dalla competizione globale tra gli Stati per creare le condizioni più allettanti per gli investitori internazionali (cfr. Caritas in veritate, 2009, 25). Nella Caritas in veritate Benedetto XVI raccomanda la revisione “delle politiche di assistenza e di solidarietà sociale al loro interno, applicando il principio di sussidiarietà e creando sistemi di previdenza sociale maggiormente integrati, con la partecipazione attiva dei soggetti privati e della società civile”: tale ricetta consente non soltanto di “migliorare i servizi sociali e di assistenza”, ma anche di risparmiare risorse “da destinare alla solidarietà internazionale” (Caritas in veritate, 60).

Va osservato che in molti Paesi europei a partire dalla seconda metà degli anni ’70 comincia a delinearsi un ripensamento del Welfare State, causato da una concorrenza di fattori: tra i più importanti, vanno menzionati le ripetute crisi economiche, che hanno interrotto il periodo di crescita quasi continua degli anni ’50 e ‘60, e il declino demografico, che ha investito in misura crescente la maggior parte del continente (Ferrera, 26-29). La necessità di rivedere l’impianto dello Stato sociale in un contesto di aspettative crescenti e di minore disponibilità di risorse ha indotto molti Stati a ricorrere alla sussidiarietà orizzontale, secondo i suggerimenti risuonati nelle encicliche sociali già in tempi non sospetti. Per un verso, il terzo settore è diventato un protagonista sempre più importante nell’erogazione dei servizi alle persone, nel contrasto all’esclusione sociale e nella sanità. Per l’altro, il welfare contrattuale, mediante il quale gli attori sociali integrano i livelli minimi garantiti dalla previdenza e dall’assistenza pubbliche, è ormai una realtà radicata in molte esperienze, compresa quella italiana.

7. Lo Stato sociale come modello universale: un welfare fraterno per una società inclusiva di uomini responsabili.

Il magistero sociale della Chiesa ha influito sulla nascita del Welfare State, ha contribuito al suo consolidamento e suggerito le vie per la sua riforma. Per la dottrina sociale della Chiesa lo Stato sociale non è soltanto un accidente dell’evoluzione socioeconomica dei Paesi europei, bensì un modello da diffondere in tutto il mondo, e in special modo nei Paesi economicamente meno progrediti, in quanto consente di garantire alla persona umana i suoi diritti basilari, in primis quello all’esistenza, chiamando i poteri pubblici a realizzare il bene comune e, almeno in parte, la destinazione comune dei beni voluta dal Creatore. Già nella Centesimus annus si richiamava l’attualità dell’enciclica leonina “nei contesti del Terzo Mondo”, ove occorre radicare, tra l’altro, “le assicurazioni sociali per la vecchiaia e la disoccupazione” (Centesimus annus, 34).

Ma è nell’ultima enciclica di Papa Francesco, Fratelli tutti, che il Welfare State assurge compiutamente a valore universale. Dopo aver ribadito che “ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale”, il Pontefice lamenta che vi siano “società che accolgono questo principio parzialmente”, accontentandosi “che ci siano opportunità per tutti”, ma che poi tutto dipenda da ciascuno (Fratelli tutti, 2020, 107-108). Occorre, invece, “uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile” orientate “prima di tutto al bene comune”: “una società umana e fraterna è in grado di adoperarsi per assicurare in modo efficiente e stabile che tutti siano accompagnati nel percorso della vita, non solo per provvedere ai bisogni primari, ma perché possano dare il meglio di sé” (Fratelli tutti, 108).

Il modello di Welfare State proposto dalla dottrina sociale della Chiesa è profondamente conformato dal principio di sussidiarietà (Colasanto, 597). Anzitutto, tale principio implica che lo Stato coinvolga il più possibile i corpi intermedi e gli attori sociali nella gestione del welfare, di modo che i bisogni delle persone trovino soddisfazione con spirito solidaristico e fraterno, e non mediante apparati burocratici freddi e insensibili. In secondo luogo, la sussidiarietà chiama in causa la responsabilità di ciascuno: nessuno può sottrarsi al dovere di offrire il proprio contributo alla società, affidandosi alla generosità dello Stato sociale. Il Welfare State del magistero sociale della Chiesa non è paternalistico, né assistenziale, bensì presuppone l’autonoma responsabilità di ogni uomo: “aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per far fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro” (Laudato si’, 128). Come chiosa assai efficacemente Benedetto XVI, il principio di solidarietà va mantenuto strettamente connesso con il principio sussidiarietà, perché “la solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno” (Caritas in veritate, 58).

8. L’etica cristiana del lavoro come antidoto ai progetti di reddito minimo universale incondizionato.

L’uomo deve lavorare per riguardo al suo prossimo e per riguardo a Dio (Colom, 338 ss.): per riguardo al prossimo, “essendo erede del lavoro di generazioni e insieme co-artefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia” (Laborem exercens, 16); per riguardo a Dio, in quanto “l’uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera del Creatore, ed a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato” (Laborem exercens, 25). Per l’uomo il lavoro “dignitoso”, ovvero presidiato dai giusti diritti e compensato con una retribuzione equa e sufficiente, è, pertanto, un “obbligo morale” (Laborem exercens, 16), o, se visto da diversa prospettiva, un “diritto-dovere” (Colom, 340).

Alla luce di questo insegnamento si può misurare la distanza della dottrina sociale da talune avanguardie del dibattito più recente sulle possibili linee evolutive del Welfare State: ci si riferisce alla discussione sull’opportunità di introdurre un reddito minimo universale e incondizionato, che garantisca all’uomo la liberazione dal bisogno senza richiedere alcunché in cambio. In altri termini, la persona sarebbe libera di dedicarsi a qualsiasi attività maggiormente le aggradi, oppure di lavorare, se ritenga di farlo, guadagnando in tal modo di più. Progetti di questo tipo sono chiaramente inaccettabili per il magistero sociale della Chiesa, in quanto insieme alla liberazione dal bisogno comportano altresì la liberazione dal lavoro. Ma “il lavoro è un bene dell’uomo – è un bene della sua umanità –, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, ‘diventa più uomo’” (Laborem exercens, 9). Di conseguenza, la liberazione dal lavoro non è affatto un traguardo per il genere umano, perché rinnegando il lavoro l’uomo smarrisce la sua umanità e una parte del suo senso in questo mondo: “il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale” (Laudato si’, 128).


Bibliografia
Colasanto M. (2004), Stato sociale, in Dizionario di dottrina sociale della Chiesa. Scienze sociali e magistero, Vita e Pensiero, 592-599.
Colom E. (2005), Il lavoro, in P. Carlotti, M. Toso (ed.), Per un umanesimo degno dell’amore. Il “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, LAS, 331-354.
Ferrante V., Tranquillo T. (2019), Nozioni di diritto della previdenza sociale, Wolters Kluwer Cedam.
Ferrera M. (2019), L’analisi delle politiche sociali e del Welfare State, in M. Ferrera (ed.), Le politiche sociali, Il Mulino, 11-54.
Ritter G. A. (2003), Storia dello Stato sociale, Laterza.


Autore
Matteo Corti, Università Cattolica del Sacro Cuore (matteo.corti@unicatt.it)