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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2022, 2 – Aprile-Giugno 2022

Prima pubblicazione online: Giugno 2022

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000091

Tecnologia e lavoro al tempo dell’intelligenza artificiale Technology and Work in the time of A.I.

di Emilio Colombo, Mario A. Maggioni

Abstract:

ENGLISH

Il lavoro è più di un fattore di produzione; esso implica il coinvolgimento della persona umana nella sua interezza, relazionalità, capacità di conoscenza. La diffusione dell’I.A. e il conseguente approccio al lavoro basato sui compiti, rischia di frammentare questa unità rendendo labile il confine tra il lavoro umano e quello delle macchine. È responsabilità della scienza, dell’economia e della politica far si che la transizione delle competenze richieste dal mercato del lavoro sia un’occasione di inclusione e non di discriminazione.

Parole chiave: Tecnologia, Lavoro, Occupazione, Compito, Competenze, Dignità del lavoro
ERC:

ITALIANO

Labor is more than a production factor. It implies the involvement of the human being in its wholeness, relationality, knowledge capacity. The diffusion of A.I. and the consequent task-based approach to labor makes the boundary between men and machine fuzzy. Science, Economics and Politics should take their own responsibility to govern the transition in the competences required by the labor market and make them an opportunity for inclusion rather than the engine of discrimination.

Keywords: Technology, Labour, Work, Task, Skill, Job, Dignity of work
ERC:

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Cosa è il lavoro?

Leggendo un manuale introduttivo di economia politica si potrebbe pensare che, per la teoria economica, il lavoro sia semplicemente un input, un fattore di produzione tanto quanto il capitale; in quanto funzionalmente simile al capitale (il termine “capitale umano” viene spesso utilizzato a questo scopo), esso apparirebbe come soggetto alle stesse regolarità e considerazioni: il capitale umano può essere infatti accumulato, può essere soggetto a fenomeni di deprezzamento, usura e obsolescenza, può essere infine caratterizzato da rendimenti marginali decrescenti tanto quanto il capitale fisico.

La dottrina sociale della Chiesa purtuttavia insiste nel mettere in evidenza da un lato la priorità del lavoro sul capitale – «il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il ‘capitale’, essendo l’insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale» (Laborem exercens, 1981, 12) – e, dall’altro, la loro reciproca necessaria complementarietà: «il capitale non può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale» (Rerum novarum, 1891, 15), quasi alludendo ad una funzione di produzione in cui lavoro e capitale sono presenti in forma moltiplicativa. Questa rappresentazione significa che, per avere un output superiore a zero è necessario che entrambi gli input siano presenti (anche se uno di essi potrebbe esserlo anche solo in una piccola quantità). Infatti se il capitale o il lavoro fossero uguali a zero, necessariamente il loro prodotto diventerebbe anch’esso pari a zero.

1.1 Lavoro, capitale umano e conoscenza

In realtà la stessa teoria microeconomica ha sottolineato come il lavoro possieda delle caratteristiche tali da dover essere trattato in modo differente dal capitale: anche quando è considerato in maniera riduttiva come “capitale umano”. Se esso da un lato è soggetto a deprezzamento, usura e obsolescenza, dall’altro è soggetto anche ad apprezzamenti del valore dovuti all’utilizzo. Questo fenomeno si è sempre verificato, ma, certamente, ha assunto particolare rilevanza da quando il lavoro umano non implica più primariamente la messa a disposizione della mera “forza motore animale” ma, attraverso un lungo processo – che ha visto due tappe fondamentali nella rivoluzione industriale e nella successiva rivoluzione informatica, delle reti e dell’intelligenza artificiale – coinvolge in modo prevalente le capacità intellettuali e creative dell’essere umano.

In questo senso è dunque impossibile parlare di lavoro umano senza parlare di conoscenza e, se si parla di conoscenza, per poterne comprendere fino in fondo la dinamica, è necessario riferirsi al fenomeno dell’apprendimento secondo le differenti modalità che diversi autori hanno così magistralmente descritto: il learning by doing, definito da Kenneth Arrow nel suo articolo del 1962; il learning by using, identificato da Nathan Rosenberg nel suo libro del 1982; e infine il learning to learn, individuato da Joseph Stiglitz nel suo saggio del 1987.

La prima modalità (learning by doing) si riferisce all’intrecciata natura di lavoro e apprendimento per cui, mentre si compie un determinato compito lavorativo, indirettamente di impara a compierlo sempre meglio. La seconda modalità (learning by using) descrive la naturale dinamica per cui, mentre si utilizza uno strumento o una tecnologia prodotto da altri soggetti, l’utilizzatore genera, con il suo lavoro, conoscenze sullo strumento stesso e sul suo uso tanto utili all’utilizzatore dello strumento quanto al produttore dello strumento stesso. Infine la terza modalità (learning to learn) esprime la natura stessa del processo di apprendimento: esso è soggetto a rendimenti crescenti: mentre si impara qualcosa si diviene più esperti anche nel metodo dell’apprendimento stesso e questo dunque permette di apprendere sempre più velocemente e più efficacemente nuovi contenuti al crescere dell’esperienza di apprendimento pregressa.

1.2 Il lavoro tra utilità e disutilità

Talvolta il lavoro viene però inteso in senso restrittivo e identificato, nella prospettiva microeconomica, come un “male”, cioè un fenomeno che crea disutilità. Nelle prime pagine dei manuali di economia del lavoro, per derivare la curva di offerta di un lavoratore, si parte dalla costruzione di un grafico dove la scelta del lavoratore viene rappresentata attraverso panieri definiti in uno spazio sui cui assi si misurano due beni: il reddito e il tempo libero. Se dunque il tempo libero è il bene il cui consumo produce utilità, di converso implicitamente si ipotizza che il “tempo di lavoro” produca disutilità e che il lavoro sia dunque intrapreso dal lavoratore solo in quanto permette l’ottenimento di un reddito da lavoro (o salario).

Questa interpretazione dimentica il fatto che il lavoro possa essere anche fonte di utilità, soddisfazione e dignità. L’economia dell’informazione e l’economia comportamentale ha recentemente riconosciuto questo fenomeno sotto il nome di “motivazione o incentivo intrinseco”. L’enciclica Laborem exercens aveva esplicitamente riconosciuto il valore del lavoro in sé «come partecipazione all’opera del Creatore», e la Gaudium et spes afferma: «Gli uomini e le donne … che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano l’opera del Creatore» (Gaudium et spes, 1965, 34). Ben lungi dall’essere una mera questione di interesse della teoria economica, la concezione riduttiva del lavoro ha fatto sì che, per anni, si pensasse alla disoccupazione come un problema soltanto dal punto di vista del mancato reddito a cui rispondere con il “sussidio di disoccupazione”, senza prestare attenzione alle altre conseguenze di tipo motivazionale che questa condizione comporta. Per ovviare a questa prospettiva riduzionista, l’Unione Europea ha modificato l’enfasi delle proprie politiche di welfare passando progressivamente da un approccio basato sulle politiche passive del lavoro a quelle attive fino a ricomprendere queste ultime nel più ampio contesto del “Social Investment” che mira a preparare gli individui, le famiglie le società a rispondere ai nuovi rischi di una economia basata sulla conoscenza attraverso un investimento continuo in capitale umano dall’infanzia all’età adulta in una logica di “attivazione” e “capacitazione” della persona.

Se, come diceva Emmanuel Mounier, «lavorare è fare un uomo al tempo stesso che una cosa», allora la mancanza di lavoro può incidere negativamente sul senso sull’identità e sull’unità della persona. Non a caso nella Laborem exercens, al numero 9, si legge: «mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, “diventa più uomo”».

La tecnologia e il lavoro

La letteratura economica ha spesso sottolineato la positività del progresso tecnologico come un potente, se non il principale, motore di crescita. Anche se dal punto di vista macroeconomico l’effetto aggregato del progresso tecnologico è positivo (negli ultimi cento anni la tecnologia ha consentito ai principali Paesi avanzati di crescere a ritmi senza precedenti, consentendo al contempo un deciso aumento del tasso di occupazione sia maschile che femminile) non tutti ne hanno beneficiato. Nei prossimi paragrafi verranno utilizzati ripetutamente tre concetti fortemente interrelati che tuttavia hanno significati distinti che è opportuno puntualizzare: job, task, skill. Il termine job si riferisce all’attività lavorativa intesa come occupazione-attività professionale; il task definisce invece un compito, o un’attività definita e circoscritta, che solitamente costituisce una parte del lavoro. Infine il termine skill si riferisce alle competenze che comprendono conoscenze e abilità formali, acquisite tramite canali educativi formali (scuola, università, formazione professionale ecc.) e non formali (la rete, i mezzi di comunicazione di massa, l’esperienza stessa del lavoro) e abilità informali (acquisite durante la vita quotidiana o legate a caratteristiche innate dell’individuo).

2.1 Come la tecnologia trasforma il lavoro

Utilizzando una terminologia cara agli economisti possiamo dire che il progresso tecnologico impatta sul lavoro lungo due direttrici principali. Una prima direttrice è quella che possiamo chiamare margine estensivo, ovvero la capacità del progresso tecnologico di creare nuovi lavori e di distruggerne di esistenti (ad esempio l’invenzione dell’ascensore automatico ha eliminato il lavoro dell’operatore di ascensore o “lift-boy”). Una seconda direttrice è quella che viene chiamata margine intensivo: in questo caso il progresso tecnologico trasforma i lavori esistenti modificando le competenze richieste per svolgerle (un giardiniere contemporaneo utilizza una serie di attrezzature elettriche che rendono più efficiente e meno faticoso il proprio lavoro, che però nella sostanza è restato molto simile a quello dei propri predecessori di un secolo fa). Come vedremo nel paragrafo successivo il margine estensivo ha a che fare con il lavoro (job), quello intensivo con le attività o compiti (task).

Complessivamente il combinato disposto di queste due direttrici è stato positivo soprattutto in ragione del fatto che la velocità, con cui il progresso tecnologico ha trasformato il mercato del lavoro, è generalmente compatibile con la capacità di adattamento dei lavoratori al cambiamento. In particolare, tecnologia e capitale umano sono risultati fortemente complementari nel senso che la tecnologia ha garantito uno skill premium (che a seconda dei contesti istituzionali differenti esistenti nelle diverse nazioni può essere più o meno rilevante: la tabella seguente evidenzia il caso statunitense dove lo skill premium, approssimato nella tabella dai titoli di studio conseguiti, è particolarmente rilevante) che ha potuto essere catturato da coloro che hanno investito di più in istruzione.

Tabella 1
Salario e tasso di disoccupazione in base al livello di istruzione (2021)
Fonte: https://www.bls.gov/emp/tables/unemployment-earnings-education.htm

Educational attainment
Median usual weekly earnings ($)
Unemployment rate (%)
Doctoral degree
1,909
1.5
Professional degree
1,924
1.8
Master’s degree
1,574
2.6
Bachelor’s degree
1,334
3.5
Associate’s degree
963
4.6
Some college, no degree
899
5.5
High school diploma
809
6.2
Less than a high school diploma
626
8.3
Total
1,057
4.7

Questa idea emerge sin dall’inizio nelle seminali teorie di Becker e anche nei successivi studi empirici ad esempio di Acemoglu. L’Italia costituisce un caso a sé: nonostante una percentuale di laureati molto bassa (minore della media europea), il vantaggio in termini di salario dei laureati nei confronti dei non laureati di pari età è tra i più bassi, anche se un maggiore titolo di studio in media aumenta l’occupabilità del soggetto.

È bene ricordare che anche la dottrina sociale della Chiesa sottolinea la positività del progresso tecnologico. Esso «risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce sé stesso e realizza la propria umanità» (Caritas in veritate, 2009, 69). La tecnica è infatti espressione della creatività umana, consente all’uomo di dominare la materia e di migliorare le condizioni di vita. Tuttavia la dottrina sociale della Chiesa mette in guardia dai rischi che emergono quando viene reciso il legame profondamente unitario tra tecnica e uomo. In questo contesto il progresso tecnologico diviene autoreferenziale e «può indurre l’idea dell’autosufficienza della tecnica stessa quando l’uomo, interrogandosi solo sul come, non considera i tanti perché dai quali è spinto ad agire» (Caritas in veritate, 70).

2.2 L’approccio al lavoro basato sui compiti

La forte accelerazione del progresso tecnologico e soprattutto la sua pervasività negli ultimi anni ha accentuato questi rischi e ha al contempo sostanzialmente richiesto un superamento rispetto all’approccio finora presente nella letteratura economica. Il confine tra lavoro umano e lavoro delle macchine diviene sempre più indistinto. Le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale si mescolano sempre più spesso con l’attività umana; in questo contesto non è più possibile tenere distinta l’attività lavorativa umana da quella delle macchine. Nella letteratura economica si sviluppa il cosiddetto task based approach (approccio basato sulle attività) che trae ispirazione dalla global value chain del commercio internazionale, dove il bene viene frammentato in numerose fasi distinte ognuna delle quali può essere considerata un bene a sé stante e prodotta in un Paese diverso secondo il principio del vantaggio comparato. Allo stesso modo l’occupazione (job) viene così “spacchettata” e divisa in compiti (tasks) ognuno dei quali può indifferentemente essere svolto da uomini o macchine (hardware o software, o una combinazione delle due) a seconda del rispettivo vantaggio comparato. Secondo questo approccio cambia dunque l’enfasi, dal lavoro (job) all’attività (task) come centro dell’analisi. Al tempo stesso emerge una forte enfasi sulle competenze (skills) in quanto esse determinano il tipo di attività su cui l’uomo si può specializzare.

Tabella 2
Competenze emergenti (Italia)
Fonte: World Economic Forum, The Future of Job Report 2020
Skills identified as being in high demand within their organization, ordered by frequency

1
Creativity, originality and initiative
9
Technology use, monitoring and control
2
Analytical thinking and innovation
10
Service orientation
3
Critical thinking and analysis
11
Technology design and programming
4
Active learning and learning strategies
12
Reasoning, problem-solving and ideation
5
Resilience, stress tolerance and flexibility
13
Persuasion and negotiation
6
Emotional intelligence
14
Quality control and safety awareness
7
Leadership and social influence
15
Coordination and time management
8
Complex problem-solving

Il cambiamento concettuale è evidente: viene infatti meno il concetto unitario del lavoro come svolto da una persona. Se il lavoro ridotto a mera sommatoria di task, esso non è più legato alla persona, ma è semplicemente un’attività che può essere svolta indifferentemente da una persona, da una macchina o da un algoritmo. Emerge chiaramente la distanza rispetto alla visione unitaria di lavoro della dottrina sociale della Chiesa, secondo cui il lavoro è degno per il fatto stesso di essere svolto da una persona. Separare il lavoro dalla persona ne toglie dunque la dignità.

Lavoro e tecnologia nelle rivoluzioni industriali

Se esaminiamo da vicino le dinamiche che hanno caratterizzato la prima rivoluzione industriale ci accorgiamo che uno dei suoi fattori più dirompenti – l’invenzione (da parte di Papin e Newcomen) e il perfezionamento (Watt) della macchina a vapore – causò direttamente lo sviluppo della produzione meccanizzata di beni manufatti e, indirettamente, diede avvio a una serie di altri fenomeni ad un tempo sociali e tecnologici, quali: la produzione standardizzata di massa, la catena di montaggio, i procedimenti statistici per il controllo a campione della qualità, l’ideazione del primo progetto di computer: la “Macchina Analitica” da parte di Charles Babbage.

La tecnologia e le rivoluzioni tecnologiche hanno dunque sempre avuto a che fare con il mondo fisico e quello mentale; con le cose e con le idee. Così, due processi paralleli hanno accompagnato il più grande aumento del benessere umano nella storia (misurato ad esempio dal PIL pro-capite): da un lato, l’uso delle macchine per sostituire la forza lavoro e l’energia umana (e animale) per compiti manuali sempre più complessi e, dall’altro, l’uso delle macchine (e delle istruzioni scritte: codici o software) per sostituire alcune funzioni della mente umana.

Certamente come ogni cambiamento anche quello della cosiddetta “Industria 4.0” (termine utilizzato per descrivere la propensione dell’odierna automazione industriale ad inserire alcune nuove tecnologie – quali, tra gli altri, la smart factory, il cloud computing, i big data analytics – per migliorare le condizioni di lavoro, creare nuovi modelli di business, aumentare la produttività degli impianti e migliorare la qualità dei prodotti), produrrà vincitori e vinti.

Figura 1
Industria 4.0
Fonte: Wikipedia

Certamente le occupazioni maggiormente a rischio sono quelle che prevedono attività ripetitive sia dal punto di vista manuale che cognitivo (attività routinarie). Queste attività infatti possono essere svolte con efficacia da macchine o da algoritmi. Tra esse vi sono molte attività amministrative rivoluzionate dall’avvento dei software di carattere gestionale, o quelle manuali semplici come l’assemblaggio. Al contrario professioni che richiedono attività complesse, sia di carattere intellettuale (analisi, ponderazione, discernimento, valutazione), sia di carattere relazionale (come tutte quelle legate alla cura della persona intesa in senso lato), sono meno a rischio in quanto caratterizzate da attività difficilmente sostituibili dalla tecnologia.

Nonostante le stime dell’impatto delle ultime rivoluzioni tecnologiche – recentemente prodotte da società di consulenza (come Deloitte, 2021) e think tank – siano fortemente eterogenee (talune fortemente allarmistiche, altre molto più rassicuranti), è indubitabile che le recenti innovazioni consentano a macchine e algoritmi di svolgere attività complesse, che sino a pochi anni fa si pensava potessero essere svolte solo dalle persone. Si pensi ad esempio alle competenze cognitive richieste all’attività lavorativa di un taxista - che implicano una serie di valutazioni e discernimenti articolati – e che ora è a rischio di essere soppiantata dall’avvento dei veicoli a guida autonoma.

Tabella 3
Previsioni sui posti di lavoro che l’automazione creerà e distruggerà
Fonte: MIT Technology Review

When
Where
Jobs Destroyed
Jobs Created
Predictor
2016
worldwide
900,000 to 1,500,000
Metra Martech
2018
US jobs
13,852,530*
3,078,340*
Forrester
2020
worldwide
1-2 mln
Metra Martech
2020
worldwide
1,800,000
2,300,000
Gartner
2020
sampling of 15 countries
7,100,000
2 mln
World Economic Forum
2021
worldwide
1,900,000-3,500,000
The Intern. Fed. of Robotics
2021
US jobs
9,108,900*
Forrester
2022
worldwide
1,000 mln
Thomas Frey
2025
US jobs
24,186,240*
13,604,760*
Forrester
2025
US jobs
3,400,000
ScienceAlert
2027
US jobs
24,700,000
14,900,000
Forrester
2030
worldwide
2 mln
Thomas Frey
2030
worldwide
400 - 800 mln
555 - 890 mln
McKinsey
2030
US jobs
58,164,320*
PWC
2035
US jobs
80 mln
Bank of England
2035
UK jobs
15 mln
Bank of England
No Date
US jobs
13,594,320*
OECD
No Date
UK jobs
13,700,000
IPPR

In questo contesto è fondamentale disegnare delle politiche economiche (industriali e del lavoro) adeguate per accompagnare la società a gestire la transizione tecnologica, consentendo a coloro che risultano penalizzati dal progresso tecnico di minimizzare il costo. Le politiche dal lato dell’educazione risultano decisive. Il progresso tecnico, infatti, negli ultimi anni ha premiato (si veda la figura 2) sempre più due grandi classi di competenze: da una parte quelle cognitive, dall’altra quelle manuali non routinarie. Tutto ciò costituisce una grande sfida per il sistema di educazione sia inteso come educazione formale che come educazione professionale per fornire le nuove competenze richieste dalle nuove tecnologie.

Figura 2
Evoluzione dell’occupazione per differenti competenze
Fonte: Mohîrta, et al (2018), Automation, global labor market, and output. Do productivity improving technologies raise overall work demand? Economics, 10, 11th.

3.1 La dimensione relazionale del lavoro e il ruolo dell’intelligenza

Le ricerche più recenti sulle competenze maggiormente richieste dal mercato del lavoro sottolineano l’importanza delle skill sociali e quelle trasversali (i cosiddetti soft skills). Questo accento fa emergere, oltre all’unitarietà lavoro-persona, un’altra dimensione del lavoro fortemente sottolineata dalla dottrina sociale della Chiesa: il lavoro ha una fondamentale dimensione sociale «oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri» (Centesimus annus, 1991, 31).

La dimensione unitaria e quella relazionale sono due tratti distintivi con cui la dottrina sociale della Chiesa richiama a una nuova intelligenza del lavoro. L’etimologia della parola “intelligenza” ci aiuta a comprendere la profondità del messaggio; essa ha due radici che ne sottolineano una direttrice verticale e una orizzontale. Da una parte intelligenza deriva da intus-legere ovvero la facoltà di comprendere la realtà non in maniera superficiale, ma, andando oltre, in profondità, per coglierne gli aspetti nascosti e non immediatamente evidenti, dall’altra intelligenza deriva da inter-legere, ovvero la capacità di leggere tra le righe, di cogliere nessi e relazioni scoprire relazioni ed inter-connessioni tra i vari aspetti della realtà per giungere ad una comprensione più ampia e completa di essa. Entrambe le radici sono presenti nell’accezione del lavoro contenuto all’interno della dottrina sociale della Chiesa. Il lavoro è ciò che rende l’uomo degno perché lo rende partecipe del processo di creazione di Dio (dimensione verticale). Al tempo stesso il lavoro è fatto dall’uomo con e per gli altri uomini, ovvero è caratterizzato da una fondamentale componente relazionale (dimensione orizzontale).

L’interazione con agenti artificiali introduce una novità talmente radicale nell’articolazione della vita sociale (Comece, 2019; Gaggioli et al., 2021; Pontificia Academia Scientiarum, 2020) da richiedere un aggiornamento delle categorie e dei codici etici. Quando andiamo a leggere, nella Dichiarazione di Roma (2020), i principi che si auspica che lo sviluppo dell’intelligenza artificiale dovrebbe seguire, essi sono: la trasparenza, l’inclusione, la responsabilità, l’imparzialità, l’affidabilità, la sicurezza e la privacy. Il nucleo centrale di questa dichiarazione riguarda la difesa della dignità umana e la possibilità per ciascun individuo di esprimersi e svilupparsi. Lo stretto legame di queste parole con la concezione di lavoro espressa sopra è evidente.

Per questo motivo è necessario adoperarsi perché l’introduzione e la diffusione delle nuove tecnologie non distrugga il cruciale rapporto che lega l’uomo al lavoro. L’impresa è ardua e il compito difficile; ma ciascuno può fare la sua parte: la scienza, la tecnica e l’ingegneria devono individuare quali sono le capacità specifiche dell’essere umano che lo rendono insostituibile nello svolgimento di alcune occupazioni, il mondo dell’impresa e dell’economia deve ragionare in merito a questo processo non in un’ottica limitata e di breve periodo volta alla mera massimizzazione del solo profitto, la politica deve proporre piani di investimento e di trasformazione sociale per accompagnare e guidare le trasformazioni in atto in modo da facilitare il processo di transizione delle competenze e delle professioni.

Papa Francesco, nel suo discorso del 28 febbraio 2020 preparato per l’assemblea plenaria dell’Accademia per la Vita sottolinea come «sono molte le competenze che intervengono nel processo di elaborazione degli apparati tecnologici (ricerca, progettazione, produzione, distribuzione, utilizzo individuale e collettivo), e ognuna comporta una specifica responsabilità. Si intravede una nuova frontiera che potremmo chiamare “algor-etica”. Essa intende assicurare una verifica competente e condivisa dei processi secondo cui si integrano i rapporti tra gli esseri umani e le macchine nella nostra era. Nella comune ricerca di questi obiettivi, i principi della dottrina sociale della Chiesa offrono un contributo decisivo: dignità della persona, giustizia, sussidiarietà e solidarietà. Essi esprimono l’impegno di mettersi al servizio di ogni persona nella sua integralità e di tutte le persone, senza discriminazioni né esclusioni».

In questo processo la dottrina sociale della Chiesa è compagna di strada dell’umanità perché, come diceva Eliot nei “Cori della Rocca”: «C’è un lavoro comune. Una Chiesa per tutti. E un impiego per ciascuno. Ognuno al suo lavoro».


Bibliografia
• Baldwin R. (2019), The Globotics Upheaval: Globalisation, Robotics and the Future of Work, Oxford University Press.
• Colombo E. (2022), Uomo, Macchine e Intelligenza Artificiale: Sostituti o Complementi nel Lavoro del XXI Secolo? in AA.VV., Intelligenza artificiale e uomo, Edizioni Rezzara.
• Deloitte AI Institute (2021), The future of AI. Seeing the forest for the trees, and the forests.
• Gaggioli A., Chirico A., Di Lernia D., Maggioni M.A., Malighetti C., Manzi F., Marchetti A., Massaro D., Rea F., Rossignoli D. and Sandini G. (2021), Machines Like Us and People Like You: Toward Human–Robot Shared Experience, «Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking», 24(5), pp. 357-361.
• Pontificia Academia Scientiarum (2017), Power and Limits of Artificial Intelligence. Proceedings of the Workshop 30 November - 1 December 2016.


Autori
Emilio Colombo, Università Cattolica del Sacro Cuore (emilio.colombo@unicatt.it)
Mario A. Maggioni, Università Cattolica del Sacro Cuore (mario.maggioni@unicatt.it)