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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2022, 1 – Gennaio-Marzo 2022

Prima pubblicazione online: Marzo 2022

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000078

Realismo politico e realismo cristiano Political realism and Christian realism

di Luca G. Castellin

Abstract:

ENGLISH

Realismo è sicuramente uno dei termini più usati e abusati del lessico politico. Dopo aver mostrato come venga spesso interpretato come una visione cinica o a-morale della politica, la voce metterà in luce tanto gli elementi essenziali del “realismo cristiano”, quanto la presenza di un tale concetto all’interno della dottrina sociale della Chiesa. Inoltre, la voce proverà a dimostrare come il “realismo cristiano” rappresenti un utile strumento per sviluppare un più adeguato intendimento della politica che possa allontanare facili illusioni o comportamenti cinici.

Parole chiave: Realismo cristiano, Reinhold Niebuhr, Natura umana, Politica, Società, Antropologia cristiana
ERC: SH6_9

ITALIANO

Realism is one of the most used and abused concepts in the political lexicon. It is often interpreted as a cynical or a-moral view of politics. This dictionary entry provides the essential elements of “Christian realism”, and shows its presence within the Social Doctrine of the Church. By rejecting both the traps of a cynical realism and the illusions of a sentimental idealism, “Christian realism” allows for a better understanding and a more adequate praxis of politics.

Keywords: Christian Realism, Reinhold Niebuhr, Human Nature, Politics, Society, Christian anthropology
ERC: SH6_9

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La “realtà” della politica?

Nel linguaggio quotidiano, il termine “realismo” possiede una pluralità di significati. L’arte, la letteratura, la filosofia e il cinema gli attribuiscono infatti un contenuto differente. Ma, nell’ambito delle scienze sociali, esso viene utilizzato per designare una ben determinata Weltanschauung. Tutto ciò che è associato a un tale concetto deve necessariamente implicare potere, violenza e corruzione.

Il “realismo politico”, infatti, è spesso raffigurato come una concezione cinica e a-morale della politica interna e internazionale. In alcuni casi, viene addirittura equiparato in maniera acritica (ed errata) alle esigenze della Realpolitik. Pertanto, non è un caso che alcuni pensatori – come Gerhard Ritter (1958) e Jacques Maritain (1977) – ne abbiano denunciato possibili storture o preoccupanti derive.

Tradizionalmente, il realismo politico viene interpretato come una dottrina pragmatica di compromesso con – o di adeguamento a – le ‘regole’ del potere. Per molti versi, esso tratteggia i contorni di un regno governato dalla competizione per la sopravvivenza e il dominio tra esseri umani rapaci, vulnerabili e insicuri. Descrive un mondo determinato dalla contingenza e dal conflitto, che non è destinato alla perfezione o alla salvezza.

All’interno del pensiero politico occidentale, vengono associati a questa tradizione autori anche assai differenti fra loro, come Tucidide, Niccolò Machiavelli, e Thomas Hobbes. Senza alcun dubbio, tali pensatori guardano con sospetto ogni forma di utopismo e rifiutano qualsiasi visione ingenuamente ottimistica della natura umana, della storia e della politica. In tal modo, sottolineano il ruolo del potere, del conflitto e dell’interesse, in ciascun comportamento individuale o in tutte le imprese collettive. Essi vogliono proporre una osservazione scientifica dei fenomeni politici: descrivere l’essere e non il dover essere della politica. L’obiettivo, è non solo quello di proporre un criterio di interpretazione più esaustivo della realtà politica, ma anche quello di offrire utili consigli per conquistare, conservare e accrescere il potere.

Realismo (perché) cristiano

Nel corso del XX secolo, un gruppo piuttosto eterogeneo di intellettuali – formato da scienziati sociali, teologi protestanti e decisori politici – richiama l’attenzione dell’opinione pubblica americana non solo sulle contraddizioni sociali ed economiche della politica interna, ma anche sulle possibilità e i rischi della politica internazionale. Per farlo, essi elaborano un approccio alla politica che intende essere normativo e, allo stesso tempo, pragmatico, proprio per destreggiarsi con facilità tra i vincoli dell’ordine politico e sociale esistente. Tale approccio, di cui Reinhold Niebuhr è ampiamente riconosciuto come il ‘padre’ (o, quantomeno, il fondatore), prende il nome di “realismo cristiano” (Castellin 2014).

Questa formula, che può sembrare un vero e proprio ossimoro, mostra in tutta evidenza il ‘paradosso’ insito nel tentativo di conciliare gli insegnamenti etici e morali della tradizione cristiana con le prescrizioni utili a esercitare (con successo) il potere politico. Tuttavia, i due termini che la compongono non possono essere separati o elisi, a meno che non si voglia stravolgere – inconsapevolmente o, magari, volutamente – questa visione della realtà politica. Niebuhr, infatti, è convinto non solo che il realismo politico sia impossibile senza un’autentica comprensione della natura umana, ma ritiene anche e soprattutto che quest’ultima possa essere garantita soltanto dall’antropologia cristiana.

Il teologo protestante vuole dimostrare la rilevanza che la fede cristiana può assumere per la comprensione e la soluzione dei problemi etici e politici della sua epoca. Ma, tanto nella lunga avventura intellettuale di Niebuhr, quanto nei successivi richiami alla sua riflessione, il “realismo cristiano” mostra una natura piuttosto flessibile. Più che un programma coerente o una dottrina consolidata, esso si rivela una matrice critica attraverso cui rapportarsi alle contingenze della vita politica, un ethos tramite il quale discernere le migliori prospettive di azione.

Natura umana e comunità politiche

Il “realismo cristiano” – in cui convergono una dimensione morale, teologica e politica – si fonda sul presupposto che nella “natura umana” siano presenti sia l’“amor proprio”, sia gli “impulsi sociali”, e che il primo sia generalmente più forte dei secondi (Niebuhr 1965, 39). L’essere umano è allo stesso tempo creatura e imago Dei. Nella consapevolezza della sproporzione tra la tensione all’ideale che lo costituisce e gli esiti ridotti o precari a cui può giungere, ogni essere umano si trova di fronte un’alternativa. Da un lato, può favorire la giustizia sociale all’interno di una comunità politica, e garantire una convivenza pacifica con gli altri aggregati umani al suo esterno. Dall’altro, può inventare infinite giustificazioni ideologiche per il perseguimento del potere (personale o collettivo).

Inoltre, Niebuhr sostiene anche che esiste una profonda divaricazione tra il comportamento morale e sociale degli individui e quello dei gruppi (politici, economici, etnici). Ogni tentativo di accordare la morale dei gruppi e quella individuale non può che risultare fallimentare. All’ordine che viene con difficoltà costituito all’interno delle sintesi politiche organizzate si oppone il (più o meno) addomesticato disordine del sistema internazionale. La vischiosità dei rapporti politici interni e internazionali mette in luce la possibilità per l’essere umano di raggiungere nient’altro che soluzioni precarie e transitorie.

Se nella realtà politica convivono tanto conflitti e interessi, quanto valori e ideali, uno sguardo ‘davvero’ realista – come quello che Niebuhr (ri)scopre nella riflessione di Sant’Agostino – deve prendere in considerazione sia gli uni sia gli altri, senza cadere nelle trappole di un realismo cinico o farsi catturare dalle illusioni di un idealismo sentimentale. Una comunità politica, infatti, “prospera meglio in un’atmosfera culturale, religiosa e morale che non incoraggi una visione della natura umana troppo pessimistica o, viceversa, una troppo ottimistica” (Niebuhr 2002, 49).

La dottrina sociale della Chiesa e il “realismo cristiano”

Seppur non in maniera frequente, l’espressione “realismo cristiano” ricorre anche all’interno della dottrina sociale della Chiesa. Sono, infatti, ribaditi sia i presupposti, sia le conseguenze di un approccio alla realtà politica fondato su una visione cristiana del mondo. Da un lato, viene sottolineato lo speciale e specifico valore della dimensione antropologica come indispensabile fondamento dell’osservazione e della comprensione dei fenomeni politici e sociali. “Il realismo cristiano”, osserva il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004), “vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall’atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte” (121). Dall’altro lato, invece, nella consapevolezza dell’ambiguità e della contingenza della politica, è forte l’avversione verso ogni forma di perfettismo e di utopismo. Il “realismo cristiano” non solo “apprezza i lodevoli sforzi che si fanno per sconfiggere la povertà”, ma mette anche in guardia “da posizioni ideologiche e da messianismi che alimentano l’illusione che si possa sopprimere da questo mondo in maniera totale il problema della povertà” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 183). Il “realismo cristiano”, che non è affatto estraneo alla dottrina sociale della Chiesa, viene rafforzato e arricchito dall’apporto della Weltanschauung cattolica, rispetto alla originaria matrice protestante.

Il “realismo cristiano” nelle encicliche sociali del XX secolo

Nelle encicliche sociali, vari pontefici di fronte a contesti differenti riaffermano con forza il valore del “realismo cristiano”, pur non facendo riferimento a una tale espressione. Giovanni XXIII, per esempio, ne riconosce il carattere pragmatico, prudenziale e performativo sia nella Mater et magistra (1961, 205, 209, 218), sia nella Pacem in terris (1963, 71, 81). Nella Populorum progressio (1967), mentre invita a guardare con fiducia “il dinamismo d’un mondo che vuol vivere più fraternamente”, “malgrado le sue ignoranze, i suoi errori, e anche i suoi peccati, le sue ricadute nella barbarie”, Paolo VI esprime l’esigenza che le fondate speranze di un mondo migliore non vengano oscurate da un “realismo” che “pecchi per difetto” (79).

Giovanni Paolo II, dopo aver ribadito il cruciale valore proveniente dalla visione cristiana della natura umana (Sollicitudo rei socialis, 1987, 35-40; Centesimus annus, 1991, 53-55), rimprovera coloro che in nome di un “realismo politico” troppo cinico vogliono “bandire dall’arena politica il diritto e la morale” (Centesimus annus, 25). Inoltre, egli afferma con forza non solo come l’essere umano “non può donare se stesso ad un progetto solo umano della realtà, ad un ideale astratto o a false utopie” (Centesimus annus, 41), ma anche come “[n]on essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell’uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette” (46).

“Intelligenza della fede” e “intelligenza della realtà”

Un contributo decisivo all’affermazione dei fondamenti del “realismo cristiano” è offerto da Benedetto XVI. Nella Caritas in veritate (2009), di fronte allo scenario della crisi economica mondiale, egli sprona ad assumere con “realismo, fiducia e speranza” la responsabilità di “costruire un futuro migliore” (21), liberandosi “dalle ideologie, che semplificano in modo spesso artificioso la realtà” (22), proprio perché l’“uomo è alienato quando è solo o si stacca dalla realtà”, e l’“umanità intera è alienata quando si affida a progetti solo umani, a ideologie e a utopie false” (53).

Nella primavera del 2010, rivolgendosi alla XXIV Assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici, Benedetto XVI ribadisce l’esigenza di uno sguardo davvero realistico sulle dinamiche politiche e sociali. “I tempi che stiamo vivendo”, egli infatti osserva, “ci pongono davanti a grandi e complessi problemi, e la questione sociale è diventata, allo stesso tempo, questione antropologica”, pertanto occorre “affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, andando oltre ogni riduzionismo ideologico o pretesa utopica”, “tenendo presente che la politica è anche una complessa arte di equilibrio tra ideali e interessi, ma senza mai dimenticare che il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà” (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alla XXIV Assemblea plenaria del Pontificio consiglio per i laici, 21 maggio 2010).

“La realtà è superiore all’idea”

Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (2013), mentre affronta il tema del bene comune e della pace sociale, Francesco individua alcune “tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale” (221). Ed è in particolare la terza di queste tensioni che richiama alla radice il “realismo cristiano”. Osservando come esista “una tensione bipolare tra l’idea e la realtà” e come tra le due “si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà”, Francesco postula che “la realtà è superiore all’idea” (231). “L’idea”, egli chiarisce, “è in funzione del cogliere, comprendere e dirigere la realtà”, mentre l’“idea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono”, “[c]iò che coinvolge” invece “è la realtà illuminata dal ragionamento” (232). Una tale convinzione viene ribadita da Francesco anche nella Laudato si’ (2015). Egli, infatti, individua proprio nel rapporto – molto spesso distorto – tra l’essere umano e la realtà il fulcro della questione ambientale. E, pertanto, invita tutti ad abbandonare posizioni ideologiche (63), a riconoscere la radice umana della crisi ecologica (101-136), e soprattutto ad acquisire una “visione più ampia della realtà” (138 e 141).

Un “realismo cristiano” per il XXI secolo

Di fronte alle innumerevoli sfide del XXI secolo, dal cambiamento climatico alla crisi migratoria, dalle tensioni geopolitiche del nuovo (dis)ordine mondiale alle inquietanti possibilità di ulteriori pandemie, il “realismo cristiano” può (forse) rappresentare un prezioso contributo tanto alla riflessione, quanto alla prassi politica.

Ma un tale contributo sarà possibile – come testimoniano Benedetto XVI e Francesco – soltanto se l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà di fronte alle tensioni bipolari proprie di ogni società. Il “realismo cristiano” rappresenta infatti il tentativo di applicare un metodo di conoscenza della realtà che avanza la pretesa di tener conto di tutti i suoi fattori e di poter così condurre a un suo più adeguato intendimento.

Nella sua duplice radice (protestante-agostiniana e cattolico-tomista), il “realismo cristiano” intende offrire una visione della natura umana e della storia che permetta alla politica di non finire incagliata nei propri inevitabili fallimenti, né tanto meno di risultare totalizzante nella sua vana pretesa di successo. Intende, in altri termini, evidenziare il carattere contingente di ogni impresa politica. Edificato sull’antropologia cristiana, tale approccio esprime una visione anti-perfettista che vuole evitare tanto una idealizzazione quanto una demonizzazione della politica.


Bibliografia
• Castellin L.G. (2014), Il realista delle distanze. Reinhold Niebuhr e la politica internazionale, Rubbettino.
• Maritain J. (1977), La fine del machiavellismo, in Per una politica più umana, Morcelliana, pp. 117-155.
• Niebuhr R. (1965), Man’s Nature and His Communities, Charles Scribner’s Sons.
• Niebuhr R. (2002), Figli della luce e figli delle tenebre. Il riscatto della democrazia: critica della sua difesa tradizionale, Gangemi.
• Ritter G. (1958), Il volto demoniaco del potere, Il Mulino.


Autore
Luca G. Castellin, Università Cattolica del Sacro Cuore (luca.castellin@unicatt.it)