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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 2 – Aprile-Giugno 2021

Prima pubblicazione online: Giugno 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000045

Razzismo Racism

di Paolo Gomarasca, Laura Zanfrini

Abstract:

ENGLISH

Scopo di questa voce è innanzitutto illustrare che cosa si intende per razzismo nel perimetro del dibattito internazionale delle scienze sociali. Dopo una breve disamina della variegata fenomenologia del razzismo e della molteplicità delle sue interpretazioni, la voce illustra i principali documenti internazionali sul razzismo e gli organismi di monitoraggio e contrasto al pregiudizio etnico e alla discriminazione razziale. Infine, viene esaminato nel dettaglio il contributo che la dottrina sociale ha sempre dato, e non cessa di dare, a favore dell’uguaglianza e della fratellanza, vero e unico punto di partenza della lotta anti-razzista.

Parole chiave: Razzismo, Discriminazione razziale, Pregiudizio etnico, Xenofobia, Esclusione
ERC: SH3_2 Inequalities, discrimination, prejudice, aggression and violence, antisocial behaviour SH3_3 Social integration, exclusion, prosocial behaviour SH5_10 Ethics; social and political philosophy

ITALIANO

This entry illustrates the meaning of the concept of racism in the context of contemporary international scientific debate. After a brief analysis of the variegated phenomenology of racism and the multiplicity of its interpretations, the entry introduces the main international documents on racism and the bodies instituted to monitor and combat ethnic prejudice and racial discrimination. Finally, it focuses on the contribution that the Social Doctrine has always given, and does not cease to give, in favor of equality and brotherhood, the true and key base of the anti-racist struggle.

Keywords: Racism, Racial Discrimination, Ethnic Prejudice, Xenophobia, Exclusion
ERC: SH3_2 Inequalities, discrimination, prejudice, aggression and violence, antisocial behaviour SH3_3 Social integration, exclusion, prosocial behaviour SH5_10 Ethics; social and political philosophy

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1. Ipotesi definitoria e analisi del fenomeno

Il razzismo può essere definito come un’ideologia basata sulla categorizzazione stereotipata degli esseri umani, in relazione a determinate caratteristiche quali i caratteri fisiognomici o l’appartenenza a un determinato gruppo etnico o culturale. Il razzismo, come ideologia costruita su un pregiudizio etnico, va distinto dalla discriminazione, che invece si riferisce a comportamenti che generano l’esclusione o la penalizzazione di alcuni individui in base a determinate caratteristiche (quali ad esempio i loro caratteri fisiognomici); tra i due concetti vi è uno stretto legame, poiché le ideologie razziste tendono storicamente ad associarsi a forme più o meno strutturate di discriminazione.

Si possono distinguere:

1) i razzismi “di dominazione”, in cui il pregiudizio si fissa su presunte gerarchie tra i gruppi. Tipici di questa categoria sono: a) il razzismo biologico, che si riferisce alla convinzione per cui taluni individui sarebbero “inferiori” e altri “superiori”, in ragione delle loro differenze innate di natura genetica; b) il razzismo culturalista, che sostiene la superiorità dei popoli iscrivibili nella rubrica delle civiltà più “evolute”. Tali forme estreme hanno fornito la base teorica dei razzismi di Stato e generato le discriminazioni più efferate: un riferimento ineludibile è il Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane (1853) di Arthur de Gobineau, pietra miliare delle teorie razziali novecentesche;

2) i razzismi “di avversione”, generati dalla paura nei confronti degli stranieri (xenofobia), percepiti come una potenziale minaccia. Qui troviamo: a) il razzismo differenzialista, fondato sulla rivendicazione a preservare la propria cultura dal rischio di contaminazione/ibridazione; b) il razzismo simbolico, basato sull’opposizione alle politiche di affirmative action (considerate causa di discriminazione inversa) e di supporto a migranti e rifugiati (es. interventi per la prima accoglienza), nonché sulla rivendicazione di un diritto dei “nativi” a godere in via privilegiata di risorse e opportunità disponibili in misura limitata (es. alloggi popolari); c) il razzismo riluttante, che combina un’espressione manifesta di principi egualitari con sentimenti negativi inconsci nei confronti di altri gruppi.

2. Gli approcci interpretativi

Per spiegare la persistenza del razzismo nelle società contemporanee, le scienze sociali hanno elaborato differenti approcci interpretativi:

1) l’approccio della scelta razionale, per cui il razzismo nascerebbe dalla rivalità tra immigrati e autoctoni per l’accesso a risorse scarse come il lavoro e l’alloggio. Specie nelle congiunture più critiche – come un periodo di crisi – la percezione di una competizione (“gli immigrati ci rubano il lavoro”) tenderebbe a esprimersi nella richiesta di forme di discriminazione positiva a favore degli abitanti storici;

2) l’approccio d’impostazione funzionalistica, che individua nella distanza culturale tra gli immigrati e la società ospite le ragioni del loro scarso livello d’integrazione e delle reazioni xenofobe nei loro confronti;

3) l’approccio delle pratiche discorsive e comunicative, che sostiene come siano queste ultime, generate dalle cosiddette élites simboliche, a costruire e rinforzare il pregiudizio etnico, base cognitiva del razzismo;

4) l’approccio fenomenologico o neo-weberiano, in base al quale la xenofobia e il razzismo sono modalità per riaffermare i confini nazionali a fronte delle tendenze anomiche e della crisi delle principali agenzie integrative che hanno generato una crisi d’identità: immigrati e appartenenti alle minoranze etniche hanno le caratteristiche congeniali per fungere da capri espiatori sui quali riversare disagi e paure, attraverso la contrapposizione fra “noi” e gli “altri”.

3. Documenti e convenzioni internazionali

Pietra miliare nella lotta al pregiudizio razziale è la Race Question del 1950, primo documento dell’UNESCO ad affrontare il tema all’indomani delle tragedie totalitarie e che, all’art. 1 afferma che “gli scienziati hanno raggiunto un accordo generale nel riconoscere che l’umanità è una: che tutti gli uomini appartengono alla stessa specie, Homo sapiens”.

Seconda tappa cruciale è la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, adottata dall’Assemblea Generale ONU nel 1965. Richiamandosi alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, l’art. 1 della Convenzione definisce l’espressione “discriminazione razziale” come “ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica”. L’anno successivo, con la risoluzione 2142 (XXI), l’ONU proclama il 21 marzo (in ricordo del massacro di Sharpeville del 1960) “Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale”. Negli anni successivi, l’UNESCO tornerà ripetutamente sulla questione, in particolare con la Dichiarazione sulla razza e i pregiudizi razziali (1978) che, oltre a ribadire che “tutti gli esseri umani […] nascono uguali in dignità e diritti e fanno tutti parte integrante dell’umanità” (art. 1), include una netta denuncia dell’apartheid allora vigente in Sud Africa, definendolo (art. 2) “la forma estrema del razzismo”.

Proprio a Durban, nel 2001, ovvero a un anno di distanza dalla Race Equality Directive del Consiglio dell’Unione Europea (2000), si terrà per iniziativa dell’ONU la prima Conferenza Mondiale contro il Razzismo, con l’obiettivo di delineare una action platform condivisa, in grado di coordinare la predisposizione di norme e misure a livello globale, sotto la guida e il costante monitoraggio del CERD (Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale). L’esito di questa iniziativa sarà però compromesso dalle pressioni da parte di alcuni Paesi a definire il sionismo come “pratica razzista”, che portarono al ritiro di Israele e USA già nella fase di stesura del documento. Quanto alla Conferenza per il riesame di Durban (cosiddetta Durban II, Ginevra, 2009), lo slogan “Uniti contro il razzismo” fu sconfessato dall’assenza, tra gli altri, di Israele, Canada, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Australia, mentre l’Unione europea era presente con 22 dei 27 Stati membri (assenti Germania, Italia, Olanda, Polonia e Repubblica Ceca). Analogo l’esito della conferenza indetta per il decimo anniversario della Dichiarazione (c.d. Durban III, 2011), con il disappunto invariato di Israele e Stati Uniti e l’allineamento a questi dell’Italia.

Ulteriore tappa di questa difficile campagna di contrasto al razzismo è stata l’adozione (2015) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: il razzismo è un tema trasversale a molti dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, laddove la lotta alle molteplici forme di discriminazione su base razziale costituisce un target specifico dell’Obiettivo 10, Ridurre le disuguaglianze all’interno di e fra le Nazioni.

4. Gli organismi istituzionali di monitoraggio e contrasto

Tra gli organismi di monitoraggio, oltre al già citato CERD, vanno ricordati: a) l’ECRI – Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza – emanazione del Consiglio d’Europa e operativa dal 1994; b) lo Special Rapporteur sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza, operante dal 1993 su mandato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani; c) l’Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (EUMC), in funzione dal 1997 fino al 2007, poi confluito nell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali (FRA).

Quel che è certo è che il razzismo e la xenofobia non sono purtroppo soltanto dei fantasmi del passato, tanto che l’ECRI ha lanciato nel 2019 un allarme per il dilagare di politiche ultra-nazionaliste e xenofobe in Europa, oltre che per il diffondersi dell’incitamento all’odio in rete.

Proprio l’uso aggressivo dei social media consente infatti al virus del razzismo di propagarsi in maniera subdola e spesso inconsapevole, ma sensibilmente potente nell’indurre condizionamenti impliciti che, poi, si traducono in un indebolimento del confine tra quel che è ritenuto accettabile e quanto invece andrebbe immediatamente rigettato.

A fronte di questa situazione, l’Europa ha disposto un articolato Action Plan per il quinquennio 2020-2025, con l’obiettivo di intensificare il monitoraggio e il contrasto al razzismo in tutte le sue forme. Anche le Nazioni Unite si sono mosse chiamando a raccolta i leader mondiali in occasione del ventesimo anniversario della Dichiarazione di Durban: sull’onda del movimento Black Lives Matter, che ha preso corpo dopo l’uccisione di G. Floyd per mano della polizia di Minneapolis (maggio 2020), la conferenza calendarizzata per settembre 2021 avrà come tema “Riparazioni, giustizia razziale e uguaglianza per le persone di discendenza africana”. Da ricordare, infine, le diverse iniziative lanciate per monitorare quel che accade in rete (Hate Speech Detection), tra le quali ricordiamo Mediavox, osservatorio online promosso dall’Università Cattolica.

5. La Chiesa in prima linea contro il razzismo

Il primo documento della Chiesa sul razzismo risale al lontano 1537, allorquando Paolo III, nella bolla Veritas ipsa, affermò come ogni popolo, anche se non cristiano, condivide la vocazione alla vita divina in Gesù Cristo e i suoi membri sono conseguentemente tributari della dignità e dei diritti spettanti a ogni essere umano. L’applicazione di tale principio nei territori di nuova colonizzazione cedette però sovente il passo a brutali pratiche di asservimento delle popolazioni indigene e degli schiavi deportati dall’Africa, al punto che Urbano VIII arrivò a scomunicare coloro che detenevano schiavi indiani. Al contempo, missionari come Bartolomeo de Las Casas, e teologi come Francisco de Vitoria, contribuirono in quegli anni alla genesi della dottrina dei diritti umani universali, fondata sulla dignità della persona, indipendentemente dalla sua appartenenza etnica o religiosa.

Alcuni secoli più tardi, con l’enciclica In plurimis (1888), Leone XIII stigmatizzò la pratica della schiavitù, elogiando il Brasile per averla abolita. Ma è soprattutto con il documento Mit brennender Sorge, emanato da Pio XI nel 1937, che la voce della Chiesa si scaglia con veemenza contro l’idolatria del razzismo – nella specifica declinazione del nazionalsocialismo col suo mito della razza – appellandosi al mondo della scienza affinché, col concorso delle varie discipline, fosse possibile confutare quelle insostenibili asserzioni. Nel ’38, poi, Pio XI fece preparare la bozza dell’Humani generis unitas, un’enciclica diretta a condannare razzismo nazista e antisemitismo, ma che non vedrà mai la luce, a causa dell’improvvisa scomparsa del pontefice. Pio XII, come noto, non riprese il progetto del suo predecessore, sebbene la sua enciclica programmatica, Summi pontificatus, che è del 1939, abbia ribadito con forza l’unità del genere umano, intesa come un dinamismo complesso di reciproco riconoscimento e arricchimento: “al lume di questa unità di diritto e di fatto dell’umanità intera gli individui non ci appaiono slegati tra loro, quali granelli di sabbia, bensì uniti in organiche, armoniche e mutue relazioni, varie con il variar dei tempi, per naturale e soprannaturale destinazione e impulso. E le genti, evolvendosi e differenziandosi secondo condizioni diverse di vita e di cultura, non sono destinate a spezzare l’unità del genere umano, ma ad arricchirlo e abbellirlo con la comunicazione delle loro peculiari doti e con quel reciproco scambio dei beni, che può essere possibile e insieme efficace, solo quando un amore mutuo e una carità vivamente sentita unisce tutti i figli dello stesso Padre e tutti i redenti dal medesimo sangue divino”.

6. Uguale dignità e riconoscimento delle differenze

Nel 1966, la Santa Sede aderì formalmente alla Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. L’anno precedente, la Gaudium et spes aveva fornito una formulazione chiave del punto di vista del magistero ribadendo come: al di là delle diversità fisiche, intellettuali e morali, tutti gli uomini condividono lo stesso destino divino e conseguentemente una fondamentale eguaglianza; ogni forma di discriminazione deve essere eliminata in quanto contraria al disegno di Dio; dalla comune paternità deriva un principio di fratellanza universale inconciliabile con ogni forma di pregiudizio razziale; è inconcepibile che chi accoglie il messaggio evangelico neghi l’uguaglianza umana fondamentale in nome della pretesa superiorità di una razza o di un gruppo etnico. La Lumen gentium (1964) ribadì che nella Chiesa, segno e strumento dell’unità di tutto il genere umano, non può esistere alcuna ineguaglianza riguardo alla stirpe o nazione.

Più ancora che agli aspetti giuridici e politici, l’attenzione del Magistero va al senso religioso e morale del principio dell’uguale dignità di tutte le persone e la sua preoccupazione centrale si rivolge al consolidamento di un senso unitario dell’uomo, nella consapevolezza che le deviazioni si devono all’incertezza delle coscienze e che un cambiamento delle strutture è legato a un cambiamento del cuore. Interessandosi all’origine, alla natura e al destino dell’uomo, a un livello che sfugge alla stessa investigazione scientifica, si afferma che filosofia, morale e religioni sono meglio equipaggiate per distinguere le ineguaglianze, che bisogna combattere, dalle differenze, che non intaccano il principio della pari dignità di tutti gli uomini, ma anzi ne manifestano la ricchezza di espressioni. Secondo la rivelazione biblica, Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza e tale legame dell’uomo col suo Creatore fonda la sua dignità e i suoi diritti inalienabili. Appartenendo alla stessa genealogia di Adamo, tutti gli uomini sono destinati a formare una sola famiglia. Tuttavia, l’antitesi del razzismo non è un’astratta eguaglianza, ma una valorizzazione della diversità complementare dei popoli chiamati a realizzare la pienezza umana nel rispetto reciproco. L’uguaglianza nel trattamento passa dunque attraverso il riconoscimento delle differenze, che le stesse minoranze invocano per potersi sviluppare.

In questa luce si spiega la distinzione, ricorrente nei pronunciamenti del Magistero, tra l’opera di evangelizzazione e l’imperialismo coloniale. Attraverso la congregazione De propaganda fide, istituita nel 1622, furono indirizzate precise istruzioni sulla necessità di distinguere la trasmissione della fede da quella della cultura, evitando di cambiare riti, costumi e tradizioni degli altri popoli, a meno che non siano palesemente contrari alla religione e alla morale. Questo punto è presente anche nei documenti più recenti, nel quadro di un’autocritica rivolta alla stessa opera dei missionari, i quali, pur senza mai trascurare di promuovere l’elevazione umana dei popoli ai quali portavano la fede nel Cristo, svolsero un’opera che, per quel che v’è in essa di umano, non fu mai perfetta: “Poté capitare – scrive Paolo VI (Populorum progressio, 1967, 12) – che taluni mischiassero all’annuncio dell’autentico messaggio evangelico molti modi di pensare e di vivere propri del loro paese d’origine”. Vi è dunque la consapevolezza che l’evangelizzazione possa cedere a tentazioni etnocentriche, trasformandosi in strumento per affermare la superiorità del proprio gruppo sugli altri.

7. L’attenzione del Magistero alle molteplici forme di razzismo e discriminazione

Il Magistero ha anche contribuito a mantenere una prospettiva di riflessione estesa a tutte le forme di discriminazione, politiche, economiche, sociali, culturali, religiose, che facilmente si colorano di razzismo, o comunque creano situazioni favorevoli alla comparsa del razzismo, senza per questo sottovalutare la specificità delle discriminazioni basate sulla razza, specie allorquando esse assumono le forme istituzionalizzate dell’apartheid. Lo si intuisce chiaramente nella Octogesima adveniens (1971, 16): “Con ragione gli uomini ritengono ingiustificabile e rifiutano come inammissibile la tendenza a conservare o a introdurre una legislazione o dei comportamenti ispirati sistematicamente ai pregiudizi razziali: i membri dell’umanità hanno la stessa natura e, di conseguenza, la stessa dignità, con i medesimi diritti e doveri fondamentali, e con identico destino soprannaturale. In seno ad una patria comune, tutti devono essere uguali davanti alla legge, trovare uguale accesso alla vita economica, culturale, civica, sociale, e beneficiare di un’equa ripartizione della ricchezza nazionale”.

Tra le forme di razzismo cui la dottrina sociale della Chiesa presta attenzione si possono ricordare: il razzismo spontaneo, diffuso nei Paesi d’immigrazione e che colpisce gli stranieri col rischio di innescare reazioni di esasperato nazionalismo, xenofobia o addirittura odio razziale; l’antisemitismo, ancora non scomparso nonostante gli orrori dell’olocausto; il razzismo eugenetico, connesso all’uso improprio delle tecniche di procreazione artificiale, all’aborto e alle campagne di sterilizzazione; il nazionalismo, che costituendo una degenerazione del patriottismo isola i popoli contro il loro vero bene impedendo che lo stesso patriottismo sia sublimato da un sentimento di carità universale e di autentica solidarietà; i pregiudizi razziali, che condizionando i rapporti tra gli Stati inaspriscono i problemi relativi alla pace internazionale.

In particolare, la riflessione del Magistero ha ripetutamente evocato le conseguenze delle frontiere artificiali lasciate in Africa e in Asia dalle potenze coloniali e la situazione di difficile convivenza tra etnie di tradizione, lingua, cultura e religione diversa, nonché il diritto sia del popolo ebreo sia di quello palestinese ad avere una patria (per una più esauriente analisi del fenomeno in senso stretto e per la definizione del “contributo dei cristiani alla promozione della fratellanza e della solidarietà tra le razze” si veda La Chiesa di fronte al razzismo, 1988, la cui seconda edizione del 2011 è disponibile on line nella versione in lingua inglese). In occasione della Conferenza di Durban del 2001, il Pontificio consiglio della giustizia e della pace ha infine richiamato l’attenzione su due forme inedite di razzismo: “quella sempre più drammatica della povertà e della discriminazione sociale e quella, più nuova e meno denunciata, riguardante l’essere umano non nato, soggetto ad esperimenti e oggetto della tecnica (attraverso le tecniche di procreazione artificiale, l’utilizzazione di ‘embrioni soprannumerari’, la clonazione detta terapeutica, ecc.). Il rischio di una forma inedita di razzismo è ben reale, poiché lo sviluppo di queste tecniche potrebbe portare alla creazione di una ‘sottocategoria di esseri umani’ destinata essenzialmente al comfort di alcuni. Nuova e terribile forma di schiavitù” (La conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le altre forme di intolleranza, 2001)

8. Un impegno educativo indefettibile

Nel suo dialogo con le scienze sociali, la dottrina sociale della Chiesa non ha solo recepito il rigetto epistemologico del concetto di razza, ma si è sempre più messa al servizio della società, nella consapevolezza di poter offrire un contributo educativo cruciale al superamento di tutte le forme di razzismo e discriminazione. Un impegno indefettibile – come emerge chiaramente dall’appello di Benedetto XVI ad aiutare anche la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione e ad organizzarsi con scelte rispettose della dignità di ogni essere umano (Angelus del 17 agosto 2008) – e che individua nel razzismo un ostacolo per la costruzione della pace – come ribadito da Francesco (Evangelii gaudium, 2013, 230). Una pace esigente, in verità, che non si limita alla mera negoziazione esteriore tra diversi, ma punti al difficile compito di realizzare l’unità: “la diversità – scrive Francesco – è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una ‘diversità riconciliata’, come ben insegnarono i Vescovi del Congo”. Verrebbe dunque da affermare che l’eliminazione del razzismo esige la valorizzazione autentica della diversità, a fronte del rischio di livellamento culturale indotto dall’economia globalizzata (Laudato si’, 2015, 144). Di qui, al contempo, la speranza potente sprigionata dal sogno di fratellanza e consegnata alle donne e agli uomini del nostro tempo, con la preghiera di non abbassare mai la guardia etica e politica di fronte ai rigurgiti di un male antico e proteiforme: “il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato” (Fratelli tutti, 2020, 97). E con il monito a ricordare che “non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione”, se davvero intendiamo “difendere la sacralità di ogni vita umana” (Francesco, Udienza generale del 3 giugno 2020).


Bibliografia
• Bahler B. (ed.) (2021), The Logic of Racial Practice: Explorations in the Habituation of Racism, Lexington Books.
• Rattansi A. (2020), Racism: A Very Short Introduction, Oxford University Press.
• Taguieff P. A. (1994), La forza del pregiudizio. Saggi sul razzismo e sull’antirazzismo, Il Mulino.
• Urquidez A.G. (2020), (Re-)Defining Racism: A Philosophical Analysis Hardback, Palgrave.
• Wievorka M. (1993), Lo spazio del razzismo, Il Saggiatore.


Autori
Paolo Gomarasca, Università Cattolica del Sacro Cuore (paolo.gomarasca@unicatt.it)
Laura Zanfrini, Università Cattolica del Sacro Cuore (laura.zanfrini@unicatt.it)