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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 2 – Aprile-Giugno 2021

Prima pubblicazione online: Giugno 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000040

Popolazioni indigene, tutela dell’ambiente e diversità culturale Indigenous peoples, environmental protection and cultural diversity

di Anna Casella

Abstract:

ENGLISH

L’articolo descrive le principali idee della antropologia culturale classica e contemporanea sul rapporto uomo-ambiente. Riflette sulle teorie contemporanee che mostrano la differenza di mentalità dei popoli amazzonici: per questi la relazione dell’uomo con gli animali e l’ambiente è empatica e complessa. Mostra i fondamentali concetti dei documenti della Chiesa cattolica, attenta alla difesa delle popolazioni amazzoniche, alla valorizzazione del loro stile di vita e al concetto di ecologia integrale.

Parole chiave: Natura, Popoli indigeni, Crisi ecologica, Antropologia culturale, Amazzonia, Accaparramento delle terre, Crisi ambientale
ERC: SH2_7

ITALIANO

My article describes the main ideas of classical and contemporary cultural anthropology on the relationship between man and the environment. It focuses on contemporary theories showing the difference in mentality of the Amazonian peoples: for whom the relationship of man with animals and with the environment is empathic and complex. It shows the fundamental concepts of the documents of the Catholic Church, which stands to the defence of the Amazonian populations, to the enhancement of their lifestyle and to the concept of integral ecology.

Keywords: Nature, Indigenous peoples, Ecological crisis, Cultural anthropology, Amazonia, Land grabbing, Environmental crisis
ERC: SH2_7

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Uomo, animali e ambiente nella antropologia classica

In che rapporto stia l’uomo con l’ambiente naturale è tema che si trova alle origini della scienza antropologica. È stato declinato in diversi modi: le tecniche materiali con le quali i popoli organizzano la loro vita modificando la natura; la relazione che gli umani stabiliscono con i “non umani” (animali e piante); le diverse maniere con le quali i popoli indigeni concepiscono sé stessi; l’analisi degli effetti della presenza umana sull’ambiente nell’era definita “Antropocene”.

La presenza di popolazioni “primitive” (o selvagge, o “di natura” come erano considerate dagli Europei) ha posto domande agli antropologi classici. Erano, queste, espressione di un processo degenerativo, come sostenevano i missionari metodisti Williams e Calvert, oppure si collocavano all’inizio della scala evolutiva (come argomentavano McLennan e Bachofen parlando della famiglia o Tylor e Frazer ragionando di religione)? E come intendere la loro peculiare maniera di rapportarsi con l’ambiente? Dalle Trobriand, agli inizi del Novecento, Malinowski osservava come la semplicità tecnica delle popolazioni melanesiane non derivasse da incapacità, quanto piuttosto da una scelta ragionata. Negli stessi anni, Boas, pubblicando un volume sull’arte, dimostrava la grande capacità espressiva dell’arte degli eschimesi e degli indigeni canadesi. Più tardi, il missionario-etnologo Leenhardt si sarebbe confrontato con le categorie mentali dei kanaki della Nuova Caledonia. Osservò come il loro pensiero partisse dalla idea della partecipazione di tutte le entità al “kamo” (vita). Il confine tra umano e non umano appariva, dunque, permeabile come quello tra vita e morte: l’antenato era vivo, mentre non lo era l’uomo asociale. E la domanda, rivolta all’indigeno Boeseu, se avesse compreso il concetto di anima, ebbe una risposta inattesa: la novità portata dal missionario era piuttosto il concetto di “corpo”. Il “pensiero selvaggio”, cioè l’insieme delle categorie conoscitive dei popoli amerindi, porta infine Lévi-Strauss a smentire l’antropocentrismo: l’uomo si considera in relazione con i “non umani” e costruisce conoscenza per analogia osservando il contesto naturale.

Ecologia e “nuove ontologie” nel pensiero contemporaneo

L’ecologia è rilevante nell’opera di Bateson, eclettico pensatore ai confini tra antropologia, etologia, filosofia. Riflettendo sui processi di conoscenza e sulla presenza dell’uomo nel mondo, Bateson approda a due importanti conclusioni: la mente umana ragiona “dentro” un ambiente fisico che le offre stimoli e significati; l’uomo dovrebbe riconoscere la sua interdipendenza con gli altri uomini e con la natura. Scrive: “uscire dall’ego-logica è dunque il primo passo per connetterci a un piano cosmico e prendere consapevolezza delle nostre azioni”. È di una “ecologia della mente” che abbiamo bisogno.

L’analisi dei modelli mentali degli Achuar ecuadoregni porta invece l’antropologo francese Descola a contestare il razionalismo cartesiano che separa lo spirito dalla natura (intesa come pura estensione) per osservare altre prospettive: totemismo, animismo, analogia. Prospettive che fondano una visione etica, poiché “animali, piante, minerali, sono altrettanti coinquilini del mondo”. La cosiddetta “svolta ontologica” degli anni Novanta del Novecento, riflette sulle cosmologie amazzoniche con l’intento di restituire loro dignità teorica. Per il brasiliano Viveiro de Castro, il modo di pensare dell’uomo amazzonico riconosce le diverse prospettive degli umani e dei “non umani”. Ricalca un paradigma sciamanico, poiché la distanza tra uomo e animale non è così radicale da impedire una qualche forma di comprensione, come dimostrano i miti. Il pensiero indigeno, dunque, rivendica una visione della realtà che non separa, piuttosto mette in relazione, e soprattutto, si esprime in una ecologia militante. La stessa che aveva interessato il francese Malaurie, per il quale lo studio della mentalità eschimese si combinava con l’appassionata difesa del loro stile di vita.

Anche l’analisi degli effetti della presenza umana sull’ambiente ha trovato spazio negli studi antropologici assumendo una prospettiva critica. Anticipato dall’opera di Wallerstein sull’economia del “sistema-mondo”, Moore ha recentemente coniato il termine “capitalocene” per indicare il sistema economico orientato al profitto, ai danni della natura. I fenomeni del land grabbing, quelli del controllo dell’acqua, sono esempi di questa distorsione ideologica, così come le dinamiche del cambiamento accelerato studiate dal norvegese Hylland Eriksen o il diffondersi delle pandemie, osservate dal francese Keck e attribuite allo scorretto rapporto tra uomo e animali.

Culture, indigeni e crisi ecologica nei documenti del Magistero

I temi del rapporto uomo-ambiente e delle diverse concezioni culturali, costituiscono molta parte della lettera enciclica Laudato si’, del 2015, e dei documenti del Sinodo sull’Amazzonia, del 2019 e 2020. Ne ricordo alcuni: la radice umana della crisi ecologica (l’antropocentrismo deviato, la natura sfruttata); la critica al paradigma tecno-economico; l’attenzione alle culture indigene e alla loro visione alternativa della relazione uomo-ambiente; la necessità di adottare un nuovo stile di pensiero e di pratica, inteso come “ecologia integrale”.

Nei documenti del Magistero si supera, anzitutto, l’ambientalismo ingenuo che si limita alla salvaguardia della natura per osservare le complesse radici della crisi ecologica. Questa è “manifestazione esterna della crisi etica, culturale e spirituale della modernità” (Laudato si’, 119). Deriva da quella “cultura dello scarto” che riguarda le cose, divenute rifiuti, e le stesse persone. Il degrado di vaste aree del mondo e l’impoverimento delle popolazioni che vi abitano va ricondotto alla mentalità del profitto rapido e dello sfruttamento applicato alle risorse della terra e al lavoro umano (Amazzonia, 10). Sono, infine, i diseguali rapporti tra società ed economie, ad aver prodotto il “debito ecologico” del Nord nei confronti del Sud del mondo (cfr. Laudato si’, 20; 51; 123; 158).

Delle culture indigene si lamenta la condizione di difficoltà in cui versano a causa del modello di sviluppo tecno-economico che ha indebolito “l’immensa varietà culturale, che è un tesoro dell’umanità” (Laudato si’, 144; 179). Il documento finale Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale afferma: "nella gente dell’Amazzonia troviamo insegnamenti di vita. I popoli originari e quelli che sono arrivati più tardi e hanno forgiato la loro identità nella convivenza, sono portatori di valori culturali in cui scopriamo i semi del Verbo”. E ancora: “il pensiero dei popoli indigeni offre una visione integratrice della realtà, capace di comprendere le molteplici connessioni esistenti tra tutto il creato. Ciò contrasta con la corrente dominante del pensiero occidentale che tende a frammentare per comprendere la realtà, ma poi non riesce ad articolare nuovamente l’insieme delle relazioni tra i vari campi del sapere. […] Troviamo anche altri valori nei popoli originari quali la reciprocità, la solidarietà, il senso di comunità, l’uguaglianza, la famiglia, la loro organizzazione sociale e il senso del servizio” (Amazzonia, 43-44). Per questo occorre rispettare la storia dei popoli amazzonici, la loro cultura e il modello del “buon vivere” che essi hanno realizzato (Discorso di apertura del Sinodo, 7 ottobre 2019).

Popoli indigeni e crisi ambientale

Come sosteneva Malaurie, vivendo in empatia con la natura i popoli indigeni ne divengono le “sentinelle”: per primi colgono la crisi ambientale ma sanno anche trovare soluzioni adeguate. “È indispensabile prestare speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali. Non sono una semplice minoranza tra le altre, ma piuttosto devono diventare i principali interlocutori” (Laudato si’, 146). E questo perché “la gestione tradizionale di ciò che la natura offre loro è stata fatta nel modo che oggi chiamiamo ‘gestione sostenibile’”(Amazzonia, 44). Le problematiche ecologiche e sociali, infatti, non possono venire risolte “con normative uniformi o con interventi tecnici”, piuttosto richiedono la partecipazione attiva degli abitanti (Laudato si’, 144). La stessa nozione di “qualità della vita” che orienta gli interventi, va misurata sui principi pratici e sui valori simbolici dei diversi gruppi umani (Laudato si’, 143-144).

I documenti del Magistero enumerano tutte le culture amazzoniche: i popoli nativi (che siano in rapporto coi bianchi o vivano in isolamento volontario) i migranti, gli indigeni nelle città, i meticci e gli afro-discendenti. Valorizzare i loro sistemi di pensiero, dare dignità alle pratiche quotidiane per favorire la loro collocazione politica, sociale ed ecclesiale diventa, dunque, imperativo etico. “La vita dei popoli indigeni, meticci, che abitano lungo le rive dei fiumi, contadini, ‘quilombolas’ e/o afro-discendenti e delle comunità tradizionali è minacciata dalla distruzione, dallo sfruttamento ambientale e dalla sistematica violazione dei loro diritti territoriali. È necessario difendere i diritti all’autodeterminazione, alla demarcazione dei territori e alla consultazione preventiva, libera e informata. Questi popoli hanno 'condizioni sociali, culturali ed economiche che li distinguono da altri settori della comunità nazionale e che sono governati in tutto o in parte dai propri costumi o tradizioni o da una legislazione speciale'” (Amazzonia, 47).

Tra visione antropologica e pastorale

Appare molto ricco il quadro degli argomenti che entrano nel dibattito antropologico e nei documenti del Magistero: la comprensione delle “ontologie native” e la difesa delle comunità indigene e tradizionali e dei loro diritti; la consapevolezza delle relazioni tra esseri umani e non umani; il depauperamento della terra; l’intreccio tra tutela ambientale e giustizia sociale.

Si rintraccia anche qualche significativa differenza: mentre l’analisi antropologica sembra privilegiare una descrizione astratta degli indigeni e del loro mondo mentale, i documenti del Magistero mettono maggiormente in risalto la marginalità cui essi sono condannati, le difficoltà di relazione tra popoli diversi, i drammatici processi socio-economici che li impoveriscono.

Ricordando i danni del paradigma tecno-economico, il Magistero offre una risposta di tipo teologico: il dettato biblico non consente di sfruttare la terra, impone piuttosto di coltivare e custodire il “giardino del mondo”, per fini non solo economici (Laudato si’, 67). Infatti, “lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune che è Dio” (Laudato si’, 83).

Infine, nei documenti del Magistero assume larga rilevanza il concetto di “ecologia integrale” fondato sulla necessità di conversione ad un nuovo modo di pensare la natura e di agire in essa. È un concetto complesso, perché riguarda sia la cura del creato sia il perseguimento della giustizia sociale e del bene comune. Infatti, “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri” (Laudato si’, 49). Soprattutto, si sostiene su una profonda visione spirituale, derivata dalla fede (Laudato si’, 64).


Bibliografia
• Descola P. (2014), Oltre natura e cultura, Seid.
• Hylland Eriksen T. (2016), Fuori controllo. Una antropologia del cambiamento accelerato, Einaudi.
• Moore J.W. (2017), Antropocene o Capitalocene. Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, Ombre Corte.
• Mangiameli G. - Fabiano E. (2019), Dialoghi con i non umani, Mimesis.
• Viveiro De Castro E. (2016), Metafísicas canibais. Elementos para uma antropologia pós estrutural, Ubu editora (trad. it. Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale, Ombre corte, 2017).


Autore
Anna Casella, Università Cattolica del Sacro Cuore (anna.casella@unicatt.it)