×

Desideri ricevere notizie dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della Chiesa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore?

Iscriviti alla Newsletter

Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 2 – Aprile-Giugno 2021

Prima pubblicazione online: Giugno 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000046

Il dialogo nella sfera della politica internazionale contemporanea Dialogue in the contemporary international political sphere

di Paolo Maggiolini

Abstract:

ENGLISH

Il dialogo è da sempre parte essenziale di ogni impegno e sforzo diplomatico. Nel corso della seconda metà del Novecento, tale centralità si è ulteriormente rafforzata, trovando nuovi campi e percorsi in cui manifestarsi. Nel quadro di tale evoluzione, si metterà in luce il contributo offerto dalla riflessione del Magistero della Chiesa Cattolica nel ripensare al suo esercizio e significato all’interno della sfera internazionale contemporanea.

Parole chiave: Dialogo interreligioso, Dialogo interculturale, Diplomazia, Incontro, Coinvolgimento
ERC: SH3_6, SH6_9, SH6_8, nell’ambito di SPS 14/B1

ITALIANO

Dialogue has always been an essential part of any diplomatic commitment and endeavor. During the second half of the 20th century, such a centrality has been further strengthened, permeating new fields and opening new paths to prove its potential. In this framework, it will be highlighted the contribute provided by the constant reflection of the Magisterium of the Catholic Church for rethinking to its practice and significance within the contemporary international sphere.

Keywords: Inter-religious Dialogue, Inter-cultural Dialogue, Engagement, Encounter, Diplomacy
ERC: SH3_6, SH6_9, SH6_8, nell’ambito di SPS 14/B1

Condividi su Facebook Condividi su Linkedin Condividi su Twitter Condividi su Academia.edu Condividi su ResearchGate

Nel corso delle ultime decadi, la parola dialogo ha trovato ampio spazio all’interno del dibattito e delle iniziative che animano la sfera politica internazionale. A questa crescente centralità non è però sempre corrisposta una chiara e condivisa interpretazione dei suoi significati. Seppur la sua semplice invocazione sembri essere sufficiente ad esprimere la volontà di ricomporre civilmente tensioni e conflitti, questo concetto trova usi e strade assai differenti. Da una parte, il dialogo è spesso associato all’idea di mediazione. In tal modo, si afferma una sua interpretazione per così dire “strumentale”, equiparandolo a una delle molteplici risorse nelle mani di quanti sono impegnati nel dirimere controversie e conflitti. Dall’altra, il dialogo è interpretato secondo una prospettiva di più lungo periodo, associandolo alla necessità di creare occasioni di incontro e collaborazione per promuovere mutuo riconoscimento, vicinanza e solidarietà.

Questa duplice interpretazione non va ovviamente estremizzata, stabilendo rigide gerarchie. Osserva Papa Francesco l’importanza di “sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni” (Evangelii gaudium, 2013, 239). In questo senso, l’impegno che la Chiesa Cattolica dimostra soprattutto dal Concilio Vaticano II ne è un’emblematica testimonianza. Paolo VI, infatti, evidenziava che “la Chiesa deve entrare in dialogo con il mondo in cui essa vive. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa conversazione” (Ecclesiam suam, 1964, 67). Infine, non si devono dimenticare le sfide che la pratica del dialogo presenta, in particolare rispetto al rischio che esso vanga vissuto come semplice strumento di auto-promozione o per imporre visioni parziali. In questi casi, il dialogo si trasforma in una serie di monologhi.

L’entrata del principio del dialogo nella politica internazionale

All’epilogo del secondo conflitto mondiale e in concomitanza con la realizzazione della fase storica della decolonizzazione, il principio del dialogo iniziò a farsi gradualmente strada all’interno del vocabolario della politica internazionale in ragione di due filoni di riflessione, ossia quello inerente agli aspetti prettamente politico-istituzionali e quello maggiormente concentrato sulla sfera della risoluzione dei conflitti. Nel primo caso, oltre al tradizionale ricorso al dialogo per scopi diplomatici, tale principio ha trovato forte attenzione con la riconfigurazione della relazione tra gli Stati e le nazioni a livello globale. Di particolare importanza è stata la creazione di nuove organizzazioni internazionali e la discussione su come riarticolare i rapporti tra il Nord e il Sud del mondo. In questo senso, la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e del network di istituzioni e organizzazioni ad esso collegate ha rappresentato un momento decisivo, avviando così il percorso di maturazione del ruolo del dialogo all’interno della politica internazionale contemporanea.

Il contributo della Chiesa alla riflessione sul ruolo del dialogo nella sfera internazionale

Il Concilio Vaticano II dimostrò una chiara sensibilità per la portata di tali trasformazioni e intese contribuire direttamente al dibattito sulla funzione e la natura di questa specifica forma di dialogo. Le visite papali, la diplomazia vaticana e la testimonianza della Chiesa in molti contesti di scontro e conflitto hanno rappresentato vividi esempi di questo spirito, favorendo l’introduzione del principio del dialogo tanto nella pratica della vita sociale quanto nella politica contemporanea. La Chiesa definisce il dialogo alla luce di un impegno volto a realizzare il destino umano e non solo come strumento di mediazione e negoziato. Paolo VI invitava a fare di tale principio il cuore di “una collaborazione volontaria”, di “una compartecipazione efficace degli uni con gli altri, in un clima di eguale dignità, per la costruzione di un mondo più umano” (Populorum progressio, 1967, 54). Tali intendimenti trovavano, dunque, una comune configurazione nella profetica idea dei “dialoghi di civiltà”, che Paolo VI auspicava al pari di quelli tra gli individui. L’obiettivo di tale impegno avrebbe dovuto essere quello della promozione di una “civiltà fondata sulla solidarietà umana” (ivi, 73), capace di porre al centro l’uomo, e non solo i prodotti e le tecniche.

Il dialogo nella sfera politica contemporanea e la posizione della Chiesa

In occasione del cinquantesimo anniversario dalla fondazione delle Nazioni Unite, Giovanni Paolo II richiamò alla necessità di accettare la diversità e costruire su di essa percorsi di dialogo, per far sì “che un secolo di costrizione lasci spazio a un secolo di persuasione” (Messaggio di Giovanni Paolo II all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 1995, 3). Sempre in occasione di una visita alle Nazioni Uniti nel 2008, Benedetto XVI ribadì che “il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari” (Incontro con i Membri dell’Assemblea Generale dell’organizzazione delle Nazioni Unite, 2008). Il dialogo, quindi, non è solo per governi e diplomazie, ma deve essere vissuto da tutte le componenti della società e della politica, sia a livello nazionale sia internazionale. A tal proposito, nel 2009, parlando del tema dello sviluppo, il Papa sottolineò nuovamente l’importanza di non ridurre il dialogo a una mera questione di trasmissione di conoscenze tecniche. Egli osserva che “la cooperazione allo sviluppo non deve riguardare la sola dimensione economica; essa deve diventare una grande occasione di incontro culturale e umano. Se i soggetti della cooperazione dei Paesi economicamente sviluppati non tengono conto, come talvolta avviene, della propria ed altrui identità culturale fatta di valori umani, non possono instaurare alcun dialogo profondo con i cittadini dei Paesi poveri. Se questi ultimi, a loro volta, si aprono indifferentemente e senza discernimento a ogni proposta culturale, non sono in condizione di assumere la responsabilità del loro autentico sviluppo” (Caritas in veritate, 2009, 59).

La pratica del dialogo interreligioso e interculturale nella sfera internazionale

La conclusione del conflitto bipolare e lo scoppio di forme di conflittualità sempre più segnate da fattori culturali e religiosi in diverse aree del globo hanno profondamente accelerato la riflessione e il dibattito sul ruolo del dialogo nella sfera della politica internazionale contemporanea. È proprio a partire dall’epilogo degli anni Ottanta, infatti, che tale concetto ha di fatto varcato sia i confini tradizionali della diplomazia ufficiale sia quelli delle organizzazioni internazionali per posizionarsi nel cuore della discussione su come favorire la creazione di una più sana e cooperativa relazione tra culture e religioni. In particolare, la crescente convinzione che la conflittualità contemporanea sia alimentata, oltre che da questioni materiali e di ordine geopolitico, anche da fattori di tipo identitario ha favorito l’introduzione di due nuove tipologie di dialogo, quello interculturale e quello interreligioso tanto tra le nazioni quanto al loro interno, che seppur già praticate e discusse in passato non avevano ancora destato l’interesse della politica. Nel solco di questa trasformazione, dialogo e coinvolgimento sono divenuti risorse imprescindibili per confutare l’immagine di un mondo destinato a essere ostaggio di conflitti e controversie di matrice identitaria. Stati, diplomazie e organizzazioni internazionali hanno voluto così promuovere la capacità di civiltà, religioni e comunità di trovare un punto di incontro comune costruendo percorsi di solidarietà e collaborazione. È doveroso, però, ricordare che tale interesse non è scevro da rischi, in particolare rispetto alla possibilità che il dialogo sia strumentalizzato per imporre nuove forme di controllo su aree, quali quelle della sfera culturale e religiosa, che spesso sembrano sfuggire di mano ai decisori e alle autorità politiche.

La pratica del dialogo interculturale e interreligioso nel contesto europeo

Seppur con alterni risultati, nel corso delle ultime tre decadi iniziative in questo campo si sono rincorse continuamente, con occasioni di dialogo tanto a livello multilaterale quanto sul piano bilaterale. Una parte di queste si è apertamente ispirata al modello del dialogo di civiltà al fine di confutare le previsioni di quanti ritenevano inevitabile lo scontro religioso e tra culture nel nuovo mondo globalizzato. Ad esempio, la sfera europea ha dimostrato fin da subito di voler porre al centro della sua attenzione il principio del dialogo come strumento sia per promuovere coesione all’interno dell’UE sia per avviare più solide relazioni con il resto del mondo, in particolare nel Mediterraneo. Il Processo di Barcellona del 1995 e la previsione di un piano specifico dedicato “al partenariato in ambito sociale, culturale e umano” ne è stata una chiara dimostrazione, a cui ha fatto seguito poi la creazione della fondazione Anna Lindh, nel 2005, e un numero crescente di altre iniziative. Ad esempio, nel 2008 l’Unione Europa ha organizzato l’“Anno europeo del dialogo interculturale”. Infine, in ambito europeo, l’attenzione al dialogo ha trovato anche spazio nel Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea con l’art. 17 che lo ha recepito come strumento di relazione tra istituzioni europee, Chiese e organizzazioni religiose.

Esempi di dialogo interculturale e interreligioso a livello extra-europeo

Di eguale importanza, a livello extra-europeo possono essere richiamate varie esperienze. Ad esempio, nel 1999 il Presidente iraniano Khatami si fece promotore dell’iniziativa per la realizzazione del “Dialogo tra Civiltà”, che spinse le Nazioni Unite a dedicare l’intero anno del 2001 a tale impegno. Successivamente, nel 2005 le Nazioni Unite hanno promosso la fondazione dell’Alleanza di Civiltà e, nel 2007, hanno organizzato un’iniziativa di dialogo di alto livello sulla comprensione fra le religioni e le culture nel quadro della 62a Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a cui anche la Santa Sede ha partecipato. Questi sono solo alcuni esempi di un numero crescente di attività promosse in risposta all’escalation di tensione vissuta nel corso degli anni Novanta e poi culminata con i tragici attacchi dell’11 settembre del 2001. In seguito a questi eventi, al precedente piano multilaterale si sono poi ben presto affiancate impulsi e proposte di singoli Paesi, come nel caso del Regno Hashemita di Giordania con il Messaggio di Amman del 2004 e poi ancora con un’altra iniziativa nel 2007 o dell’Arabia Saudita con la sua proposta di dialogo interreligioso del 2008.

Nuove forme di dialogo nella sfera internazionale contemporanea

Inoltre, più recentemente, l’aumento di conflitti e la crescente minaccia del terrorismo di matrice islamista hanno indotto molte diplomazie e governi a cimentarsi in una nuova forma di dialogo inteso come “coinvolgimento”. Tale modello è stato elaborato dagli Stati Uniti a partire dalla prima decade del nuovo Millennio, venendo più recentemente recepito anche in ambito europeo. Il dialogo come coinvolgimento si è proposto di favorire una più diretta interazione tra istituzioni ufficiale e leadership e organizzazioni religiose. Da una parte, tale dinamica rappresenta lo sforzo di riconoscere il ruolo di tali soggetti all’interno delle società e della politica contemporanea. Dall’altro, questa nuova idea trova un forte legame con le questioni della de-radicalizzazione e del contrasto al terrorismo. Tale nuova declinazione può certamente fornire positive occasioni di collaborazione, riconoscendo il ruolo strategico di religioni e culture. Essa, però, può anche rappresentare un rischio, portando a una regressione del dibattito sul ruolo del dialogo nella politica internazionale e imponendone una declinazione prettamente strumentale. Di fatto, questa idea di coinvolgimento sembra tendere a ridurre l’orizzonte del dialogo a questioni di “sicurezza”, facendone un esercizio per pochi o peggio uno strumento con precise finalità di controllo.

Papa Francesco e la sua testimonianza di dialogo

In questo quadro, l’azione di Papa Francesco riporta al centro il tema del dialogo secondo la sua originale declinazione, anche e soprattutto nella sfera della politica internazionale. Sia la sua riflessione che la diretta esperienza di dialogo sul campo sfuggono a facili classificazioni e guardano al cuore delle questioni. Ricorda Bergoglio che dialogo e identità, sia essa culturale o religiosa, sono legati da un rapporto di necessità. Il dialogo non deve divenire strumento per addomesticare e controllare, ma per progredire insieme. Infatti, egli afferma che “i credenti hanno bisogno di trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri. Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che pensano diversamente. […] Perché tanto più profonda, solida e ricca è un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare contributo» (Fratelli tutti, 2020, 282). Il Pontefice ribadisce così la centralità del dialogo nelle società contemporanee richiamando i contenuti della dichiarazione sulla “Fratellanza umana” scaturita dall’incontro con il Gran Imam Ahmad Al-Tayyeb di Al-Azhar. In questo testo si ricorda l’importanza di riconoscere il dialogo come “cultura” e “via”, praticandolo attraverso la “collaborazione” e facendo della conoscenza reciproca il “criterio” e il “metodo” per la sua esperienza. Francesco ricorda che “ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri!” (ivi, 284). Tali parole hanno recentemente accompagnato il viaggio di Bergoglio in Iraq durante il quale il Pontefice ha trovato modo di dare loro nuova testimonianza con la visita alla più alta autorità sciita, il grande Ayatollah Al-Sistani, e con la “preghiera dei figli di Abramo” durante l’incontro interreligioso a Ur.


Bibliografia
• Driessen M. D. (2020), Evaluating Interreligious Dialogue in the Middle East, “Peace Review”, 32 (1), 1-12.
• Maggiolini P. (2019), EU-Islam Dialogue and Engagement. Five challenges and opportunities, “EuroMesco”, n. 96.
• Neufeldt R. C. (2011), Interfaith Dialogue: Assessing Theories of Change, “Peace & Change”, 36 (3), 344-372.
• Thune H. (ed.) (2015), Dialogue and Conflict Resolution: Potential and Limits, Ashgate Publishing, Farnham.
• Tomasi S. M. (2017), The Vatican in the Family of Nations: Diplomatic Actions of the Holy See at the UN and Other International Organizations in Geneva, Cambridge University Press, Cambridge.


Autore
Paolo Maggiolini, Università Cattolica del Sacro Cuore (paolomaria.maggiolini@unicatt.it)