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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 2 – Aprile-Giugno 2021

Prima pubblicazione online: Giugno 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000054

Hate speech, linguaggio d'odio Hate speech

di Milena Santerini

Abstract:

ENGLISH

L’odio si presenta come un fenomeno complesso con un ampio spettro di significati. La voce presenta le possibili definizioni dell’hate speech – discorso d’odio, il confine con la libertà d’espressione, i gruppi target e gli aspetti di contagio emotivo per cui si diffonde in Internet. Inoltre commenta gli interventi con cui negli ultimi anni la Chiesa ha affrontato il tema del discorso d’odio, della manipolazione e di un diverso storytelling della comunicazione nei media.

Parole chiave: Hate speech, Web, Media, Chiesa, Crimini d'odio
ERC: SH3_11

ITALIANO

Hate is a complex phenomenon with a wide spectrum of meanings. The entry presents possible definitions of hate speech, the borderline with freedom of expression, the target groups and the emotional contagion aspects by which it spreads on the Internet. It also comments on the interventions by the Church in recent years to address the issue of hate speech, manipulation and a different storytelling of communication in the media.

Keywords: Hate speech, Web, Media, Church, Hate crime
ERC: SH3_11

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Dall’odio al linguaggio d’odio

Per definire il discorso d’odio (hate speech) occorre partire dai diversi modi in cui può essere letto il sentimento antichissimo che chiamiamo odio e che caratterizza l’umanità dalle sue origini. Dall’omicidio di Abele ad opera di Caino in poi, la storia è costellata di storie di violenze e contese: c’è odio nell’Iliade, nella Divina Commedia, nelle tragedie di Shakespeare. Anzitutto, sul piano psico-sociale esso può essere descritto in varie forme: come un’emozione, un sentimento, un atteggiamento o altro ancora. Secondo l’Oxford Dictionary, possiamo parlare di un intenso ed estremo sentimento di avversione, rifiuto, ripugnanza, livore, astio e malanimo verso qualcuno (singolo o gruppo). L’odio presenta un ampio spettro di significati, tanto che gli studi neuro-scientifici identificano con maggiore precisione le aree del nostro cervello deputate all’aggressività, rabbia o istinto di violenza, più facili da decifrare, mentre, per quanto riguarda l’odio, si preferisce ipotizzare un assemblaggio di emozioni diverse a cui concorre un insieme di reti cerebrali. Questo aiuta a capire come l’odio sia un fenomeno complesso e multidimensionale, e come sia difficile individuarlo a livello sociale o giuridico (Santerini 2021).

Se dal termine “odio” passiamo al linguaggio d’odio, l’hate speech, possiamo indicarlo ad esempio come un linguaggio tendenzioso, ostile e malizioso, contro una persona o gruppo a causa delle loro caratteristiche innate reali o percepite, o “discorso malevolo volto a vittimizzare e disumanizzare i suoi bersagli, spesso (ma non sempre) membri di minoranze vulnerabili” (Cohen Almagor 2015, 205).

Uno spettro di comportamenti

Non esiste quindi una definizione univoca, ma uno spettro di tratti e comportamenti che possono qualificare il discorso d’odio: il suo contenuto, l’attacco a singoli o gruppi delle minoranze, la dimensione pubblica, la volontà di provocare danni, fino ad arrivare all’incitamento alla violenza.

Il linguaggio non è solo descrittivo, ma può essere performativo, cioè creare la realtà. Gli epiteti denigratori contro qualcuno generano ostilità e disprezzo. Va aggiunto che essi si rivolgono non solo all’interlocutore, ma anche agli spettatori a cui arriva il messaggio. Quando si comunica odio, solo per il fatto che i bersagli appartengono a gruppi sociali ritenuti “inferiori”, tale gerarchia tra i componenti della società viene normalizzata e legittimata.

Anche dal punto di vista normativo non abbiamo ancora definizioni univoche condivise a livello internazionale del discorso d’odio, ma autorevoli punti di riferimento che, soprattutto, introducono il concetto dei bersagli del discorso d’odio, identificati con gruppi o minoranze. L’hate speech si ricollega, quindi, al tema del razzismo, della xenofobia, dell’antisemitismo, delle discriminazioni. In base alla raccomandazione n. 20 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 30 ottobre 1997, infatti, il termine copre “tutte le forme di espressione che diffondono, incitano, promuovono o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo, o altre forme di odio basate sull’intolleranza incluse: intolleranza espressa da un aggressivo nazionalismo e etnocentrismo, discriminazione e ostilità verso minoranze, migranti e persone di origine immigrata”.

La Raccomandazione ECRI (European Commission against Racism and Intolerance) n. 5 dell’8 dic. 2015 intende per discorso dell’odio “il fatto di fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, nonché il fatto di sottoporre a soprusi, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce una persona o un gruppo e la giustificazione di tutte queste forme o espressioni di odio testé citate, sulla base della ‘razza’, del colore della pelle, dell’ascendenza, dell’origine nazionale o etnica, dell’età, dell’handicap, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e di altre caratteristiche o stato personale”.

Hate speech e hate crimes

Per questo, è necessaria una profonda opera educativa e, allo stesso tempo, adeguati strumenti a livello giuridico-legale. Per poter intervenire a quest’ultimo livello, è importante chiarire anzi tutto che l’hate speech, secondo i rapporti internazionali, può consistere in:

• espressioni che costituiscono un’offesa secondo il diritto internazionale e che andrebbero perseguite penalmente;

• espressioni dannose, offensive o sgradite che tuttavia gli Stati non sono tenuti a proibire penalmente, ma che possono giustificare una sanzione civile;

• espressioni che non danno luogo a sanzioni penali o civili, ma che comunque causano preoccupazione in merito alla tolleranza e al rispetto altrui.

Per quanto molto dannoso, l’hate speech non va considerato sempre in se stesso un crimine e può rientrare nella categoria protetta dalla libertà d’espressione (art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana, Primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti). Esiste infatti il rischio di limitare tale libertà e creare quelli che possono essere chiamati “reati d’opinione”. Tuttavia, anche considerando tali vincoli, non si può negare come il discorso d’odio sia dannoso perché erode la dignità delle vittime e colpisce il principio di uguaglianza e non discriminazione su cui si basa una società democratica; anche quando non configura necessariamente un reato, di conseguenza, appare nocivo di per sé in quanto inquina la convivenza sociale.

Sono evidenti le conseguenze dell’odio rivolto verso bersagli come singoli (persone fragili, donne, minori, o personaggi pubblici perché più visibili) e soprattutto su persone rappresentate come simbolo di tutta la loro “categoria” (immigrati, rom, ebrei, musulmani etc). L’hate speech per le sue caratteristiche crea un deturpamento permanente dei gruppi bersaglio che vengono sfigurati e diventano più vulnerabili. L’esposizione al discorso d’odio può causare un impatto negativo sul benessere psicologico degli individui che ne sono vittime e sulle loro relazioni a livello sociale; può creare paura e traumi, dato che i bersagli sono esposti pubblicamente e continuativamente agli attacchi, e anche aumentare la possibilità di atti violenti. Inoltre, la proliferazione di tale linguaggio può causare assuefazione, desensibilizzazione e disimpegno nella comunità maggioritaria, indebolendo la coesione sociale. Nelle persone fragili, specie negli adolescenti, può causare depressione e ansia, calo di autostima, e in alcuni casi indurre al suicidio.

Considerando questi motivi, il discorso d’odio può subire restrizioni in nome di altri diritti fondamentali come il diritto alla dignità, uguaglianza e non discriminazione. Si tratta di operare un bilanciamento tra i beni in gioco, tenendo conto di principi di rango superiore come “il principio di uguaglianza che non ammette discriminazioni basate sull’identità collettiva” in base all’art. 3 della nostra Costituzione.

Internet e il discorso d’odio

L’odio in tutte le sue forme sembra oggi aver trovato un habitat ideale nella rete. Anche se l’aggressività è una caratteristica della specie umana, non possiamo considerare i “nuovi” media estranei alle forme assunte dal discorso d’odio, o semplici strumenti neutri di comunicazione. Infatti, il linguaggio ostile online presenta caratteristiche particolari (diffusività, rapidità, estemporaneità, anonimato e altre) che lo rendono particolarmente pericoloso (Pasta 2019). La dimensione di massa del fenomeno lo rende nuovo anche rispetto ad altre rivoluzioni tecnologiche e culturali. L’odio, dunque, non nasce certo con Internet, ma la rete permette un’estensione gigantesca, capillare e pervasiva.

Se si studiano più a fondo i motivi per cui le persone aggrediscono o diffamano, e il profilo psicologico degli haters online, emergono descrizioni di persone spesso impaurite dal mondo globale, in ansia per il futuro a causa delle crisi economiche, quasi sempre danneggiate da qualche vicenda personale. Non è difficile supporre che alcuni possano avere scarsa empatia per le sofferenze degli altri, o almeno non siano capaci di provarla a distanza. Infatti, anche se le persone che odiano sono sempre esistite, il tema della mancanza di empatia a causa della distanza fisica e della separazione degli schermi è di primaria importanza. Diventa più facile fare del male quando non “sentiamo” l’altro e non ne percepiamo le emozioni. Il legame che si crea online può escludere chi non fa parte del proprio gruppo, tanto che, se si esce dalla propria bolla, si verifica un vero e proprio deficit di empatia. A causa della comunicazione mediata è difficile percepire le espressioni facciali o le emozioni dell’altro, poiché manca il filtro sociale empatico e il “faccia a faccia” che accompagna la comunicazione tradizionale.

Sempre di più i social media gestiscono quello che possiamo chiamare il “mercato delle emozioni”, creando intensità di comunicazioni e contagio emotivo. Gli interessi economici non sono però estranei a questo fenomeno. Le parole di carattere emozionale (lotta, guerra, male, punizione) o che inducono ansia o rabbia hanno più probabilità di essere condivise: il sistema stesso dei social media, costruito sulla condivisione all’interno delle proprie “tribù”, e sugli investimenti pubblicitari, favorisce le emozioni ostili. L’hate speech online, per le sue caratteristiche, può sospendere i freni inibitori e usare impunemente toni e termini che fanno male. Le modalità con cui ci si giustifica sono le stesse studiate da Albert Bandura che ha proposto il concetto di “disimpegno morale” per spiegare la tendenza a negare la violenza, auto-assolversi, spostare la responsabilità o minimizzare gli effetti delle proprie azioni. Molti strateghi dell’odio sul web conoscono questi meccanismi e li adottano per eludere il controllo della coscienza morale.

La riflessione della Chiesa

Nella dottrina sociale della Chiesa – dall’enciclica Miranda prorsus di Pio XII del 1957 sui nuovi mezzi di comunicazione (cinema, radio e televisione) al decreto Inter mirifica del Concilio Vaticano II (1963), fino agli interventi più attuali del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali e ai documenti delle Conferenze Episcopali – il tema dei mass media è stato attentamente considerato. Già nel 1971, con Paolo VI, l’istruzione pastorale Communio et progressio, pubblicata per disposizione del Concilio Ecumenico Vaticano II, metteva in evidenza la dimensione comunitaria e globale della comunicazione, che distrugge le barriere e avvicina le persone: un’anticipazione di ciò che la grande rete di Internet avrebbe creato.

Solo recentemente, però, si è posto in modo specifico il tema del discorso d’odio nelle comunicazioni e in particolare sul web. Ancora nel 2002 il documento Etica in Internet del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali analizzava le problematiche di utilizzo della rete evidenziando i temi del digital divide, l’esigenza di non censurare la libertà d’espressione o ancora il corretto uso del mezzo da parte dei più giovani, senza tuttavia trattare l’argomento del linguaggio d’odio. In realtà, già dalla fine degli anni ’90 inizia l’evoluzione che mette in discussione la mitologia della rete e la visione di Internet come “paradiso” e si inizia a cogliere la preoccupante proliferazione del discorso ostile e violento.

Man mano che, invece, il web è divenuto anche luogo di conflitti e aggressività, la dottrina sociale della Chiesa ha dato attenzione alla problematica. I messaggi per la Giornata annuale delle comunicazioni sociali testimoniano tale crescente consapevolezza. Nel 2003 Giovanni Paolo II poneva in relazione la costruzione della pace con i media che possono propagare o invece mitigare il dominio dell’odio e della sete di vendetta (Messaggio per la XXXVII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali). Nel 2009, nel messaggio di Benedetto XVI Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia compare la richiesta di evitare “la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi. I messaggi iniziano ad essere rivolti a tutti coloro che possono condividere la comunicazione, e non solo a chi la gestisce: segno della nuova orizzontalità che investe i media, non più in mano solo ai professionisti della comunicazione o all’autorità politica, ma a tutti.

Papa Francesco e l’hate speech

Nel 2016 il fenomeno dell’hate speech è già dilagante. Papa Francesco scrive: “le parole possono gettare ponti tra le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i popoli. E questo sia nell’ambiente fisico sia in quello digitale. Pertanto, parole e azioni siano tali da aiutarci ad uscire dai circoli viziosi delle condanne e delle vendette, che continuano ad intrappolare gli individui e le nazioni, e che conducono ad esprimersi con messaggi di odio. La parola del cristiano, invece, si propone di far crescere la comunione e, anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione” (Messaggio per la 50a giornata mondiale delle comunicazioni sociali).

Ancora, negli ultimi anni compare il tema dell’identità nel web, troppo spesso fondata sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, che crea polarizzazione e rifiuto dell’estraneo: “ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo” (Messaggio per la 53a giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 2019). Le tecnologie possono e devono essere utilizzate per costruire comunità (Rivoltella 2021).

Un diverso storytelling

Infine, si descrive la tendenza attuale allo storytelling pervasivo, alle false informazioni, alle “storie distruttive e provocatorie” e si osserva che “mettendo insieme informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi, colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità”. A questo tipo di racconti dobbiamo rispondere con storie che costruiscono la convivenza (Messaggio per la 54a giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 2020).

Nell’enciclica Fratelli tutti del 2020 il tema del linguaggio d’odio viene affrontato direttamente, all’interno del grande affresco sul bisogno di fraternità contrapposto alla solitudine e alla violenza delle nostre società. Qui compare un ampio quadro della comunicazione attuale, soprattutto digitale. Si afferma chiaramente come le pervasive relazioni a distanza – che hanno avuto un forte incremento durante il periodo della pandemia da Covid-19 del 2020-2021 – non siano sostitutive di quelle umane faccia a faccia, in cui il corpo conta. Viene invocato il rispetto del pudore in un ambito, quello della comunicazione digitale, che invade l’intimità di ciascuno (42). Soprattutto, si denuncia l’insufficienza della mera connessione online quando “i movimenti digitali di odio” diventano “associazioni contro un nemico” (43).

I paragrafi 44-50 sono dedicati a questi legami malati, che trovano online uno spazio di diffusione senza uguali per il “pullulare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro” (44). In modo non ingenuo l’enciclica descrive le “bolle” che isolano le persone, l’impunità del linguaggio politico e ideologico e gli interessi economici che portano a manipolare le coscienze, ostacolando il confronto tra le differenze (45). Anche i cristiani possono partecipare a tali reti di violenza verbale (46). Soprattutto, papa Francesco propone una modalità di comunicazione alternativa al “circolo virtuale che ci isola” (47), fatta di ascolto, “caratteristico di un incontro umano, paradigma di un atteggiamento accogliente” (48) e di ricerca perseverante e paziente per “riconoscere ciò che essenziale per dare senso all’esistenza” (50).


Bibliografia
• Cohen-Almagor R. (2015), Confronting the Internet’s Dark Side. Moral and Social Responsibility on the Free Highway, Cambridge University Press.
• Falloppa F. (2020), #Odio. Manuale di resistenza alla violenza delle parole, UTET.
• Pasta S. (2018), Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online, Morcelliana-Scholè
• Rivoltella P. (2021), La scala e il tempio. Metodi e strumenti per costruire comunità con le tecnologie, Franco Angeli.
• Santerini M. (2021), La mente ostile. Forme dell’odio contemporaneo, Raffaello Cortina.


Autore
Milena Santerini, Università Cattolica del Sacro Cuore (milena.santerini@unicatt.it)