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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 4 – Ottobre-Dicembre 2021

Prima pubblicazione online: Dicembre 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000066

Eugenetica liberale: tra dissoluzioni ed equivoci Liberal eugenics: between dissolutions and misunderstandings

di Alessio Musio

Abstract:

ENGLISH

Nel 2000 la Carta dei diritti fondamentali dell’UE sancisce il ripudio dell’eugenetica, sulla base di una connessione tra biologia, medicina ed economia immediatamente messa in pericolo. Come scopre Habermas, infatti, nell’incrocio tra fecondazione in vitro, diagnosi pre-impianto e ingegneria genetica, si realizza una nuova forma di eugenetica che non passa più dallo Stato, ma dalle scelte di chi commissiona alla tecnologia la generazione dei “propri” figli. È il tracciato dell’eugenetica liberale, nei suoi legami inattesi con il modello economico del capitale umano.

Parole chiave: Eugenetica liberale, Habermas, Foucault, Capitale umano, Incarnazione, Biopolitica, Cultura dello scarto, Ingegneria genetica
ERC: SH5_10 Ethics; social and political philosophy

ITALIANO

The Charter of Fundamental Rights of the EU (2000) emphasizes its rejection of eugenics, based on an connection between biology, medicine and economics immediately jeopardized. As Habermas discovers, in fact, in the intersection of in vitro fertilization, pre-implantation diagnosis and genetic engineering, a new form of eugenics is taking place that no longer pass through the State, but through the choices of those who commission the generation of ‘their’ children to technology. This is the way of liberal eugenics, in its unexpected links with the economic model of human capital.

Keywords: Liberal eugenics, Habermas, Foucault, Human capital, Incarnation, Biopolitics, Throwaway culture, Genetic engineering
ERC: SH5_10 Ethics; social and political philosophy

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Il ripudio fondativo europeo dell’eugenetica

Nella discussa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 2000), si sancisce un radicale “divieto delle pratiche eugenetiche […] aventi come scopo la selezione delle persone”. La rivendicazione del diritto all’integrità fisica e psichica (art. 3) travalica, così, immediatamente i confini del lessico politico in relazione all’“ambito della medicina e della biologia”, dato che è proprio in esso – e più in generale nella tecnologia sottesa – che tale diritto viene a essere messo in pericolo.

Gli estensori del documento, oltre al divieto di pratiche eugenetiche, prevedono anche quello “di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro” (punto c), sulla base di un riferimento che molto avrebbe da dire rispetto all’inquietante fenomeno dei tracciati transnazionali della maternità surrogata (cfr. sul tema: A. Musio, Baby boom. Critica della maternità surrogata, Vita e Pensiero, Milano 2021).

Dal punto di vista filosofico, in ogni caso, il nesso che, così, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea individua è quello tra le pratiche eugenetiche coinvolgenti medicina e biologia e le dinamiche commerciali.

L’idea risulta ancora oggi decisiva, sennonché già nel 2001 un filosofo come Jürgen Habermas si chiede “se queste idee della vecchia Europa” non debbano essere considerate, “come degli atteggiamenti carini ma del tutto demodé” (Habermas, 2001, 17).

Habermas: la scoperta del volto liberale dell’eugenetica

Sul tavolo da lavoro di Habermas si sommano due fenomeni. Da una parte, la possibilità di eliminare attraverso la metodica della diagnosi pre-impianto l’essere umano allo stadio embrionale portatore di caratteristiche genetiche non desiderate, sulla base dell’idea inquietante di una “generazione con riserva” (p. 38). Dall’altra, il progetto di eliminare tecnologicamente, grazie all’ingegneria genetica, la casualità del combinarsi delle serie cromosomiche all’origine di ogni nuovo essere umano, nel segno di una programmazione intenzionale resa possibile dalle tecniche di fecondazione artificiale.

Nella sua semplicità, e al prezzo di qualche incoerenza, l’idea è dirompente: il combinato di questi due fenomeni rivela l’emergere di una logica eugenetica, in cui le ragioni selettive travalicano i confini della patologia, visto che divengono motivi di eliminazione il possedere anche caratteristiche genetiche del tutto normali, ma effettivamente indesiderate (ad es. il sesso o il colore degli occhi).

Di qui l’amara constatazione di Habermas secondo cui tecnologia e mercato, ormai da alcuni decenni, stanno provvedendo a confezionare un nuovo ethos: quello di una “eugenetica [genetica] liberale che – trascurando ogni differenza tra interventi terapeutici e migliorativi – rimette alle preferenze individuali degli utenti del mercato il compito di definire gli obiettivi degli interventi correttivi” (p. 22).

La tesi cardine del suo testo resta sbilanciata in modo incoerente sugli interventi di programmazione migliorativa, nella sottovalutazione del decisivo elemento di eliminazione reso possibile dalle tecniche di diagnosi genetica pre-impianto e del fatto che l’eugenetica è già implicita nella negazione dello statuto personale dell’embrione umano, come accade in modo paradigmatico sin dall’introduzione, priva di fondamento scientifico, della nozione di pre-embrione da parte della Commissione Warnock nel 1984. Nondimeno, essa ha il merito di delineare una nozione destinata a ridefinire il dibattito: attraverso gli scenari resi possibili dalla fecondazione in vitro, che intersecano la selezione dei gameti e degli embrioni con la pratica della sostituzione di maternità e l’ingegneria genetica, le scelte dei genitori non costituiscono più uno spazio privato su cui il potere dello Stato non può entrare sulla base di un’“astensione ben giustificata” (ivi, p. 7), ma determinano una trama opposta e del tutto nuova che – rovesciando l’assunto – mette in crisi lo stesso ethos democratico.

L’implicita dissoluzione della democrazia

Come spiegato nella lettera enciclica Centesimus annus, del resto, “un’autentica democrazia è possibile solo […] sulla base di una retta concezione della persona umana”, perché altrimenti una democrazia può sempre convertirsi “facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo” (§ 46).

Se nell’eugenetica classica il potere esorbitante dello Stato travalica in modo inaccettabile la dignità delle persone, nel contesto liberale sono le scelte, accettate in via di premessa, di coloro che commissionano e delegano la generazione alla medicina e alla tecnologia (cfr. sul tema della delega procreatica: Pessina, 2020, 143-154), a determinare un’inammissibile caduta dei fondamenti ideali stessi della democrazia, mettendo in crisi il diritto alla vita, l’uguaglianza personale – nella misura in cui l’umanità risulta divisa tra programmatori e programmati – e la possibilità di riconoscersi nel proprio sé corporeo. L’eugenetica non deriva dallo Stato, ma dalle scelte private degli individui che finiscono per mettere in crisi in modo subdolo la forma stessa democratica a cui si chiede di rendere legittima la statualità.

La critica coniata da Habermas mette talmente in crisi gli assunti classici del liberalismo da risultare di fatto indicibile, tanto che nella stessa traduzione italiana del titolo del testo di Habermas scompare il riferimento all’eugenetica liberale, sostituito dall’espressione del tutto arbitraria e in sé stessa priva di significato: I rischi di una genetica liberale. Priva di significato, perché l’eugenetica non è la genetica – che in sé stessa resta una disciplina, con il suo statuto e i suoi strumenti e dunque non può ammettere alcuna aggettivazione; arbitraria, perché in questo modo il significato della denuncia di Habermas viene a essere del tutto perso.

Alcuni autori, poi, hanno di fatto stravolto il senso dell’analisi, giocando sul rapporto tra sostantivo e aggettivo: certo Habermas parla di “eugenetica liberale”, ma non ci si dovrebbe preoccupare perché si rimane dentro il perimetro definito grammaticalmente dall’aggettivo liberale, escludendo così scenari totalitari come quelli che facevano da sfondo alle biopolitiche razziste e selettive naziste.

La strategia di risposta, che fraintende completamente il punto decisivo, resta però scorretta perché inverte, per così dire, l’ambito semantico: l’aggettivo liberale, infatti, non ha il potere di eliminare il peso del sostantivo eugenetica, ma indica soltanto la via attraverso cui questa non solo si manifesta, ma continua a dispiegare la sua logica disumana.

Ora, la novità ancora attuale della tesi di Habermas era stata in qualche modo già anticipata dalla lezione di Michel Foucault a proposito della nozione di biopolitica (Foucault, 2015).

Nel ciclo di lezioni al Collége de France Foucault scriveva, infatti, che la più straordinaria presa del potere sulla vita umana e sul corpo non comincia con la statualità o con le politiche sanitarie naziste, ma paradossalmente proprio con i fondatori classici del pensiero liberale, in cui il corpo viene a essere inteso come una proprietà del soggetto, divenendo nel neoliberalismo una risorsa imprenditoriale su cui svolgere quelle pratiche commerciali espressamente vietate dalla Carta europea.

Foucault e l’eugenetica del capitale umano

Di qui l’attenzione che Foucault dà alla nozione di capitale umano coniata dal pensatore della scuola di Chicago, Premio Nobel per l’economia, Gary S. Becker, sulla quale Foucault scrive delle pagine estremamente significative che anticipano il discorso di Habermas sull’eugenetica liberale.

Se l’uomo stesso, infatti, rappresenta individualmente un capitale, e la stessa “dotazione corporea” deve essere intesa come una risorsa all’interno del mercato, è chiaro che questa deve essere capitalizzata il più possibile, rendendo le stesse tecnologie genetiche uno strumento di valorizzazione del capitale soggettivo che i genitori consegnano ai propri figli generandoli, al pari della scelta di far loro frequentare determinate scuole, attività sportive, corsi di lingua, ecc.

Così, “da quando diventerà possibile stabilire quali sono gli individui a rischio […] sarà perfettamente possibile immaginare uno scenario di questo tipo: i patrimoni genetici buoni – ovvero quelli in grado di produrre individui a basso rischio o il cui tasso di rischio non sarà dannoso né per sé stessi, né per la loro cerchia familiare, né per la società – diventeranno sicuramente rari, e nella misura in cui saranno qualcosa di raro potranno perfettamente entrare […] all’interno del circuito di calcoli economici”. Ed è questo il motivo per cui “a partire dal problema della rarità dei corredi genetici buoni, il meccanismo di produzione degli individui, la produzione dei bambini può ritrovare e incrociare tutta una serie di problemi di natura economica e sociale”, finendo per portare alla discriminazione tra figli con un alto e un basso capitale umano. Ecco perché, chiudeva il ragionamento Foucault, “gli effetti razzisti, diciamo, della genetica sono certamente da temere e non sono per nulla cancellati” (Foucault, 2015, 189, nostro il corsivo).

Del resto, il cuore di ogni eugenetica è rappresentato proprio dall’idea di figli che finiscano per essere geneticamente “dannosi per sé stessi, per la loro cerchia famigliare e per la società”, per quanto essa avvenga in nome e per conto delle logiche di investimento e formative del libero mercato.

Sicché le parole di Foucault devono essere considerate come una critica radicale all’assunto di base della logica del capitale umano, e ci si deve chiedere se gli innegabili aspetti positivi di tale nozione – a cominciare, per fare degli esempi, dall’idea che un valore di un’azienda non dipenda solo da quello dei suoi macchinari, ma dal grado di formazione dei suoi dipendenti, per non dire dell’importanza che Stati e governi mettano al primo posto nelle loro politiche il bene della formazione delle nuove generazioni e sostengano le famiglie nei costi da esse intraprese, ecc. – non debbano essere rivendicati e sostenuti a prescindere dalla cornice concettuale e semantica in cui sono inseriti.

L’equivoco della risposta di Gary Becker

Lo si vede se si legge con attenzione un dialogo che si è tenuto nell’ottobre del 2012 nella Law School dell’Università di Chicago tra lo stesso Gary Becker e François Ewald, curatore dei testi delle lezioni al Collège de France di Foucault (Becker et al., 2012, 1-21).

Il dialogo risulta interessante perché la critica mossa dal pensatore della biopolitica rispetto alle inevitabili implicazioni eugenetiche della teoria del capitale umano risulta talmente radicale da non poter essere ignorata, sulla base di una strategia che enfatizza l’aggettivo liberale in modo da mettere fuori gioco, e in fondo liquidare, il richiamo al sostantivo cui inerisce. Afferma infatti Becker: “certo, si può sempre prendere un’idea e farne un uso perverso. Ma non c’è un legame essenziale con l’analisi del capitale umano. Ovviamente, alcune persone hanno di più, altre hanno di meno. Questo è un dato di fatto da accettare, […] in fondo è sempre stato così. […] Ma non c’è nulla nella teoria sul capitale umano, in particolare quella liberale – e qui io mi rifaccio all’uso europeo della nozione di liberale […] – che abbia a che fare con l’eugenetica. Perché l’impostazione liberale è incentrata sul rispetto dell’individuo. Gli individui non sono semplici strumenti dello Stato. Anche dal punto di vista dell’educazione. L’eugenetica per me non ha nessuno spazio nell’analisi del capitale umano […]. Si tratta esattamente della posizione opposta”.

Insomma, per quanto Becker liquidi la questione, resta che ciò che Foucault prima e Habermas poi hanno permesso di comprendere è come il nostro tempo sia indirizzato verso una nuova forma di eugenetica che non passa dalle maglie del potere statuale e politico, ma dalle libere scelte, di chi, trasformando sempre più la generazione in produzione, la delega alla tecnologia servendosi delle possibilità di selezione che essa implica, in nome e per conto della preoccupazione economico-educativa per la competitività sociale. Nondimeno, gli effetti anti-democratici restano tutti sul tavolo e difendere la casualità dell’origine dell’uomo è l’unico modo per ricusare il volto nuovo con cui l’eugenetica si riaffaccia nel nostro tempo, non come un rischio futuro e ipotetico, ma come un fenomeno già inquietantemente all’opera.

La difesa della casualità dell’origine, poi, non deve essere considerata come un’opzione per l’irrazionalità – come è stato obiettato a Habermas – ma come la scelta consapevole di chi vuole salvaguardare quella linea di confine che separa il generare, inteso come l’essere la semplice occasione del sorgere di qualcuno, dai tracciati della produzione umana, in cui i generanti si trasformano in committenti tecnologici che agiscono sui propri figli con una logica proprietaria, secondo le linee di programmazione del libero mercato della riproduzione umana.

Lo sguardo bioetico del Magistero

Resta un ultimo passo, volto a capire come si ponga un pensiero innestato sul Cristianesimo rispetto all’idea, che rappresenta l’essenza stessa dell’eugenetica liberale, di individui diversi per capitale genetico, e dunque umano, su cui immaginare logiche di investimento e selezione – sulla base di quella “cultura dello scarto che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura” (Laudato si’, 2015, 22).

Ora, per dare una risposta si possono prendere come riferimento gli importanti documenti del Magistero che riflettono esplicitamente sul tema della generazione umana nell’epoca delle sue trasformazioni medico-scientifiche e tecnologiche.

Così, nella lettera enciclica Evangelium vitae (1995), si prende sul serio lo spettro di possibilità aperte dalle “tecniche diagnostiche prenatali, che permettono di individuare precocemente eventuali anomalie del nascituro”, senza però aprire a delle possibilità di cura, sicché “accade non poche volte che queste tecniche siano messe al servizio di una mentalità eugenetica, che accetta l’aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile mentalità è […] quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il valore di una vita umana soltanto secondo parametri di ‘normalità’ e di benessere fisico, aprendo così la strada alla legittimazione anche dell’infanticidio e dell’eutanasia” (§ 63). Allo stesso modo va ricordato il documento della Congregazione per la dottrina della fede dal titolo Donum vitae. Il rispetto per la vita umana nascente e la dignità della procreazione (1987), nella misura in cui, contenendo già le tesi appena viste, specifica, in ordine alla possibilità di una nuova logica eugenetica, che “[i] diritti dell’uomo non dipendono né dai singoli individui né dai genitori e neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato: appartengono alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza dell’atto creativo da cui ha preso origine” (parte III). E in particolare è proprio il riferimento ai genitori, e quindi alle loro non illimitate libertà educative, ad anticipare il nodo dell’eugenetica liberale nell’angolatura proposta da Habermas. Di qui l’importanza anche del tracciato dell’istruzione Dignitas personae (Congregazione per la dottrina della fede, 2008) che allarga la prospettiva e contestualizza, al § 22, il giudizio negativo sulle tecniche di diagnosi pre-natale prive di finalità terapeutiche in relazione alle diagnosi pre-impianto rese possibili dalla FIVET, per poi considerare anche il caso dell’ingegneria genetica, di fatto chiamata in causa nel dibattito pubblico “per realizzare manipolazioni con presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genetica”, sulla base di “una mentalità eugenetica […] Si deve [allora] rilevare […] che nel tentativo di creare un nuovo tipo di uomo […], l’uomo pretende di sostituirsi al Creatore. Nell’affermare la negatività etica di questo tipo di interventi, che implicano un ingiusto dominio dell’uomo sull’uomo, la Chiesa richiama anche la necessità di tornare a una prospettiva di cura delle persone e di educazione all’accoglienza della vita umana nella sua concreta finitezza storica” (§ 27).

Il quadro bioetico è dunque delineato in modo potente. Data la radicalità della questione, però, è bene guardare alla radice stessa della logica cristiana, come avviene nella lettera enciclica che ha aperto il pontificato di Giovanni Paolo II.

Oltre le dissoluzioni: la logica dell’Incarnazione

La Redemptor hominis, infatti, è un testo tutto incentrato sul senso dell’Incarnazione e ribadisce l’idea secondo cui nella logica dell’Incarnazione sia l’uomo stesso – e nello specifico ogni singola persona umana, qualunque sia la sua condizione – a essere qualificato sulla base di un valore incommensurabile proprio per il legame indissolubile istituito misteriosamente da Cristo con l’Incarnazione. Sicché non c’è spazio per l’idea di esseri umani dotati di un valore differente (neppure sul piano del loro supposto capitale genetico), come si legge nel paragrafo dal titolo Cristo si è unito ad ogni uomo. “Qui, dunque, si tratta dell›uomo in tutta la sua verità, nella sua piena dimensione. Non si tratta dell›uomo ‘astratto’, ma reale, dell’uomo ‘concreto’, ‘storico’. Si tratta di ‘ciascun’ uomo, perché ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero […]. Perché l’uomo – ogni uomo senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole […] L’oggetto di questa premura è l’uomo nella sua unica e irripetibile realtà umana, in cui permane intatta l’immagine e la somiglianza con Dio stesso. Il Concilio indica proprio questo, quando, parlando di tale somiglianza, ricorda che ‘l’uomo in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa’. L’uomo così com’è ‘voluto’ da Dio, così come è stato da Lui eternamente ‘scelto’, chiamato, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio ‘ogni’ uomo, l’uomo ‘il più concreto’, ‘il più reale’; questo è l’uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuto partecipe in Gesù Cristo, mistero del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre” (Redemptor hominis, 1979, 13). Il testo non parla evidentemente né della nozione di capitale umano né di selezione embrionale e di ingegneria genetica. Nondimeno, la logica che esprime è perfetta anche per commentare il quadro sotteso all’eugenetica liberale. Anzi, è proprio qui che diventa drammaticamente vero che “l’uomo non può rinunciare a sé stesso, né al posto che gli spetta nel mondo visibile”, diventando “schiavo delle cose, schiavo dei sistemi economici, schiavo della produzione, schiavo dei suoi propri prodotti” (§ 16).

In fondo, è di questa schiavitù che il tracciato dell’eugenetica liberale ci parla. Per una volta, però, il pericolo non sta nello strapotere dello Stato, o nelle ideologie perverse di movimenti totalitari, ma nei desideri personali e nelle libere scelte di chi attraverso la tecnica, e in nome della libertà, può trasformare la generazione carnale umana nei tracciati della produzione, selezione ed eliminazione tecnologica dei propri figli. Come se il legame di Cristo con ogni singola persona umana potesse essere vanificato da una libertà ridefinita unicamente secondo i parametri di una società di mercato e consumo.


Bibliografia
• Becker G.S. - Ewald F. - Harcourt B.E. (2012), “Becker on Ewald on Foucault on Becker”: American Neoliberalism and Michel Foucault’s 1979 Birth of Biopolitics Lectures, University of Chicago Institute for Law & Economics Online Research Paper n. 614, 401, pp. 1-21.
• Becker G.S. (1975), Human Capital. A Theoretical and Empirical Analysis, with Special Reference to Education, The University of Chicago Press (trad. it. M. Staiano, Il capitale umano, Laterza, 2008).
• Foucault M. (2015), Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), trad. it., Feltrinelli.
• Habermas J. (2001), Die Zukunft der menschlichen Natur. Auf dem Weg einer liberalen Eugenik, Suhrkamp, (Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, trad. it. L. Ceppa, Einaudi, 2001).
• Pessina A. (2020), Bioetica. L’uomo sperimentale, Pearson.


Autore
Alessio Musio, Università Cattolica del Sacro Cuore (alessio.musio@unicatt.it)