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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 1 – Gennaio-Marzo 2021

Prima pubblicazione online: Marzo 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000006

Cooperazione internazionale allo sviluppo International cooperation and development

di Marco Caselli, Silvia Malacarne, Claudia Rotondi

Abstract:

ENGLISH

La cooperazione internazionale allo sviluppo, oggetto di ricerca di attuale interesse per le scienze sociali, assume forme diverse dagli anni ’50 ad oggi. Se nei primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale viene concepita come mero trasferimento di risorse economiche dai Paesi più abbienti ai Paesi più fragili, con il passare degli anni si assiste ad un vero e proprio cambiamento di paradigma che la porta ad essere identificata come strumento efficace per la promozione dello sviluppo umano integrale e via privilegiata per il perseguimento del bene comune a livello globale e locale. Tale concezione rinnovata della cooperazione internazionale allo sviluppo – oggetto del presente contributo – è condivisa e promossa dal magistero della Chiesa, scopre le sue radici nell’enciclica Populorum progressio e trova pieno spazio di valorizzazione nella chiesa missionaria “in uscita” di Papa Francesco.

Parole chiave: Sviluppo umano, Sviluppo integrale, Cooperazione allo sviluppo, Partnership inclusive, Obiettivi di sviluppo sostenibile, Dichiarazione di Busan, Sfide globali
ERC: SH2_5

ITALIANO

International development cooperation, a research topic of current interest for the social sciences, takes different forms from the 1950s to the present. If in the first decades following the Second World War it is conceived as a mere transfer of economic resources from the higher income countries to the more fragile contexts, as the years go by we witness a real paradigm shift that leads it to be identified as an effective tool for the promotion of integral human development and a privileged way for the pursuit of the common good both at the global and local level. This renewed concept of international development cooperation – the subject of this contribution – is shared and promoted by the Catholic Church Magisterium, discovers its roots in the encyclical Populorum progressio by Pope Paul VI and finds a full valorisation in the "outgoing” missionary Church of Pope Francis.

Keywords: Human Development, Integral Development, Development Cooperation, Inclusive Partnerships, Sustainable Development Goals, Busan Forum, Global challenges
ERC: SH2_5

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La cooperazione internazionale allo sviluppo: evoluzione di un’idea

La cooperazione internazionale allo sviluppo assume forme differenti dagli anni ’50 a oggi. Se nei primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale veniva concepita come mero trasferimento di aiuti economici dai Paesi più abbienti a quelli più fragili per favorire industrializzazione e crescita economica, con il passare degli anni diventa protagonista di un vero cambiamento di paradigma, che la porta a essere identificata come strumento efficace e privilegiato per la promozione dello “sviluppo umano”, espressione coniata dagli economisti Amartya Sen e Mahbub ul Haq nell’ambito delle Nazioni Unite negli anni Novanta e da intendere come processo di ampliamento delle possibilità godute dagli esseri umani, il quale permette loro di condurre una vita lunga e sana, essere istruiti e avere accesso a risorse adeguate per un livello di vita dignitoso (Sen, 2012). Il nuovo millennio ha contribuito in maniera rilevante a tale profonda trasformazione, grazie in particolare al dibattito promosso dalle Nazioni Unite che, tramite la pubblicazione dei Millenium Development Goals (MDGs) nel 2000 e dei Sustainable Development Goals (SDGs) nel 2015, hanno dichiarato apertamente l’impegno a orientare il proprio operato verso l’obiettivo di dare la possibilità a uomini, donne e bambini, nelle città e nei villaggi di tutto il mondo, di migliorare la loro vita (Annan, 2000). Il nuovo approccio alla cooperazione assume inoltre i diritti umani – esposti ufficialmente nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 – come grammatica politica dello sviluppo: diventa infatti sempre più urgente transitare da una logica basata sui bisogni, che tende a trascurare le potenzialità e le capacità dei soggetti, a un sistema che riconosce ogni essere umano titolare di diritti. In tale prospettiva, le persone sono poste al centro degli interventi di cooperazione, non più come beneficiarie, ma in quanto attori liberi e degni di partecipare in maniera responsabile ai processi di sviluppo.

Una prospettiva emergente nel panorama attuale: la costruzione di partnership inclusive

Tra le molteplici tematiche al centro del dibattito più recente sulla cooperazione internazionale, emerge in maniera preponderante la questione relativa alla costruzione di partnership inclusive di sviluppo. A tale proposito, i differenti attori della cooperazione si impegnano oggi a perseguire in modo particolare il 17° obiettivo degli SDGs dedicato alla costruzione di partnership inclusive e globali, in quanto considerato preliminare al raggiungimento di tutti gli altri obiettivi e quindi fondamentale per definire la cooperazione allo sviluppo quale risultante di un partenariato globale, in cui Stati, istituzioni, organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative, settore privato si fanno carico di un’umanità che necessita di aiuto, ma anche di autonomia e responsabilità (Cossetta, 2009). Il tema delle partnership, così enfatizzato sul piano istituzionale durante i Forum sull’efficacia degli aiuti coordinati dall’OECD (Parigi 2005, Accra 2008, Busan 2011) costituisce una prospettiva di riflessione e azione anche per gli attori della società civile, ai quali è richiesto uno sforzo nella gestione delle istanze dei donatori, ma anche nel coordinamento di progetti che prevedono la collaborazione tra pluralità di attori e quindi l’impegno a individuare visioni comuni e complementari per poter operare in maniera sinergica secondo una logica bottom-up (Moloney, 2020).

La cooperazione internazionale allo sviluppo e la dottrina sociale della Chiesa

A partire dai contributi rivoluzionari di Papa Giovanni XXIII, la questione di una “multiforme cooperazione” (Mater et magistra, 1961, 150) ha sempre più acquisito centralità nel dibattito promosso dalla Chiesa. In termini generali, il tema della cooperazione internazionale allo sviluppo è concepito nella dottrina sociale come “la soluzione del problema dello sviluppo” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 2004, 446), quindi come strumento per valorizzare l’essere umano nella sua integralità. Tuttavia, per comprendere più a fondo il valore che la cooperazione assume per il magistero, si rivela indispensabile considerare i seguenti tre aspetti e la loro relazione: 1) l’approccio della cooperazione, 2) il contesto delle relazioni internazionali, 3) l’obiettivo di sviluppo.

1) Soffermarsi innanzitutto sull’etimologia del verbo “cooperare” (dal latino cum “con” e operari “operare”) aiuta nel processo analitico, in quanto essa rimanda in modo evidente e “naturale” a un’azione basata sul “fare insieme”. La cooperazione può essere intesa come un processo basato su una relazione reciproca tra soggetti, in cui ogni parte in gioco ha la possibilità di contribuire alla realizzazione di se stessa e di un obiettivo comune. Tale reciprocità viene valorizzata da Papa Giovanni XXIII sia nell’enciclica Mater et magistra: “le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre” (187), sia nella successiva enciclica Pacem in terris (1963): “I popoli instaurino rapporti di mutua collaborazione, facilitando tra essi la circolazione di capitale, di beni, di uomini” (56).

2) Il luogo nel quale si dispiega tale cooperazione è quello delle relazioni internazionali, connotato da una molteplicità di attori appartenenti ad aree del mondo differenti, che interagiscono individualmente e in gruppi su un piano globale. Per l’insegnamento tracciato dal magistero sociale la comunità internazionale rappresenta il livello più elevato della convivenza tra i diversi membri della famiglia umana, in cui la collaborazione allo sviluppo “è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud” (Sollicitudo rei socialis, 1987, 32).

3) L’intrecciarsi di relazioni tra soggetti provenienti da aree del mondo più avanzate e più fragili ha un obiettivo ben preciso: lo sviluppo umano, concetto che richiama e si ispira alla concezione di sviluppo integrale difesa e promossa da Papa Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio del 1967: “lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo” (14).

Uno sguardo critico e costruttivo e la visione di una Chiesa “in uscita”

La concezione di cooperazione internazionale allo sviluppo affermatasi negli anni 2000 interagisce con vari aspetti tratteggiati dall’insegnamento sociale della Chiesa.

Particolarmente significativa si rivela la visione di cooperazione espressa da Papa Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate (2009), dove, con sguardo critico e costruttivo, vengono messe a tema luci e ombre del mondo della cooperazione. Il Pontefice pone l’accento, per esempio, sull’importanza che al riconoscimento dei diritti di tutti i soggetti coinvolti nei processi di sviluppo corrisponda l’identificazione di specifici doveri, secondo una logica basata sulla corresponsabilità e la reciproca trasparenza. Solo grazie a un’assidua corrispondenza tra diritti e doveri nell’opera di governi, organizzazioni internazionali, organizzazioni della società civile, i primi non si tramutano in arbitrio e i secondi in imposizioni (Caritas in veritate, 43). La cooperazione dovrebbe soprattutto evitare di incorrere in degenerazioni radicali e rischiose come il dilettantismo, il relativismo culturale e l’etnocentrismo, bensì promuovere formazione e professionalità, valorizzare le differenze culturali e la collaborazione tra attori con appartenenze diverse.

È poi la Chiesa “in uscita” di Papa Francesco che permette alla cooperazione internazionale allo sviluppo di essere pienamente valorizzata, in quanto parte essenziale del progetto di Chiesa missionaria promosso dal Pontefice negli anni più recenti. “La Chiesa in uscita è una Chiesa con le porte aperte”, “i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo”, “vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un’etica in favore dell’essere umano” (Evangelii gaudium, 2013, 46, 48, 188), molteplici sono le esortazioni di Papa Francesco a farsi promotori di una cooperazione basata su relazioni fraterne e non sul profitto, capace di raggiungere le periferie e i “più fragili della Terra”, senza timore di sporcarsi le mani e con l’obiettivo di rendere concreta la speranza nella vita delle persone.

I principi di Busan e la dottrina sociale della Chiesa: una piena sintonia

È interessante evidenziare la sintonia tra i principi riconosciuti dalla comunità internazionale come prioritari per una cooperazione efficace – esplicitati durante il Forum internazionale sull’efficacia degli aiuti di Busan nel 2011 (OECD, 2011) – ed estratti recepiti da alcuni documenti del magistero.

Il primo principio è la ownership (“titolarità”), che può essere intesa come la capacità della cooperazione di “consentire a tutti i popoli di divenire essi stessi gli artefici del loro destino” (Populorum progressio, 65), cioè di assumere un ruolo sempre più attivo nella progettazione delle politiche di sviluppo, divenendo protagonisti della loro attuazione e del coordinamento degli aiuti. A tale proposito, sia l’enciclica Populorum progressio sia la più recente Caritas in veritate insistono sulla necessità che vi sia non solo rispetto dei diritti delle popolazioni più vulnerabili, ma un riconoscimento esplicito dei loro doveri e delle loro responsabilità perché “la condivisione dei doveri reciproci mobilita assai più della sola rivendicazione dei diritti” (Caritas in veritate, 43).

Il secondo principio di Busan è focus on results (“focalizzarsi sui risultati”), con il quale si vuole sottolineare l’urgenza della raccolta, elaborazione e diffusione rigorosa dei risultati ottenuti nell’ambito delle attività di cooperazione allo sviluppo, al fine di garantire risposte efficaci ai bisogni rispetto ai quali si sta intervenendo. Papa Benedetto XVI afferma che sia necessario “applicare i criteri della progressione e dell’accompagnamento – compreso il monitoraggio dei risultati – , perché non ci sono ricette universalmente valide” (Caritas in veritate, 47); le soluzioni a ogni situazione di vulnerabilità devono essere calibrate sulla base del contesto e della vita delle persone, attraverso una valutazione cauta e prudenziale.

Il terzo principio si riferisce alla costruzione di inclusive development partnerships (“partenariati di sviluppo inclusivi”), quindi alla necessità di far convergere attori di varia natura in grado di dialogare e perseguire obiettivi comuni, nella convinzione che la condivisione di appartenenze, competenze, patrimoni culturali differenti costituisca una ricchezza per ogni parte in gioco. Il principio della collaborazione inclusiva rimarca l’essenza della natura antropologica che si realizza, secondo il magistero, nelle relazioni interpersonali: “non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. [...] L’unità della famiglia umana non annulla in sé le persone, i popoli e le culture, ma li rende più trasparenti l’uno verso l’altro, maggiormente uniti nelle loro legittime diversità” (Caritas in veritate, 53).

Il quarto e ultimo principio di Busan è l’accountability (“responsabilità”), con il quale si identifica la responsabilità legale, finanziaria, etica di tutti i soggetti coinvolti nelle azioni di cooperazione. Pratiche trasparenti e snelle sia a livello istituzionale sia a livello non governativo costituiscono la base per ottenere risultati efficaci di sviluppo: “sarebbe auspicabile che tutti gli Organismi internazionali e le Organizzazioni non governative si impegnassero ad una piena trasparenza, informando i donatori e l’opinione pubblica circa la percentuale dei fondi ricevuti destinata ai programmi di cooperazione circa il vero contenuto di tali programmi, e infine circa la composizione delle spese dell’istituzione stessa” (Caritas in veritate, 47).

Figura 1 - I principi di Busan per un’efficace cooperazione allo sviluppo

(Fonte: https://www.effectivecooperation.org/landing-page/effectiveness-principles)

La pratica della cooperazione: un esercizio di fraternità

La cooperazione viene dunque proposta dal magistero come un vero e proprio stile di vita, indispensabile per far fronte alle sfide globali che con la loro urgenza interpellano oggi l’intera comunità umana. Tra queste sfide possiamo citare, per esempio, le seguenti: la direzione dei flussi migratori e il conseguente processo di integrazione e accoglienza dei migranti nelle società di ricezione: “i nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti, non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana” (Fratelli tutti, 2020, 129); l’impegno comune per una gestione sostenibile ed equa delle risorse: “non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare” (Laudato si’, 2015, 22); l’adozione di misure adeguate a livello individuale e collettivo per far fronte ai rischi legati ai cambiamenti climatici: “per quanto attiene ai cambiamenti climatici, i progressi sono deplorevolmente molto scarsi. La riduzione dei gas serra richiede onestà, coraggio e responsabilità, soprattutto da parte dei Paesi più potenti e più inquinanti” (Laudato si’, 169); l’implementazione di politiche e strategie volte a contrastare la fame e a ridurre i livelli più gravi di povertà: “eliminare la fame nel mondo è divenuto, nell’era della globalizzazione, anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta” (Caritas in veritate, 27). Cooperare significa recepire ciascuna di queste sfide come un compito collettivo, che può essere perseguito solo insieme, con lo sguardo rivolto al prossimo e superando l’individualismo e l’indifferenza che talvolta pervadono la società globalizzata, orientata al raggiungimento di un benessere così generalizzato e universalistico che rischia di diventare esclusivo ed egoistico, poco attento alla singolarità dei contesti e quindi generatore di disparità e disuguaglianze. Il senso profondo della cooperazione risiede dunque in quella fraternità originaria – a cui Papa Francesco dedica l’enciclica Fratelli tutti – che spinge ciascuno a desiderare il bene dell’altro, senza esclusioni e discriminazioni: “il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo. Ciò implica includere le periferie” (Fratelli tutti, 215).


Bibliografia
Annan K.A. (2000), We the peoples. The role of the United Nations in the 21st Century, United Nations Department of Public Information.
Cossetta A. (2009), Sviluppo e cooperazione, Franco Angeli.
Moloney K. (2000), Post-Busan partnership in the Pacific? An analysis of donor-NGO relations, in “The Pacific Review”, vol. 33, n. 2, pp. 278-304.
OECD (2011), Busan Partnership for Effective Development Co-operation, OECD Publishing.
Sen A. (2012), Lo sviluppo è libertà, Mondadori.


Autori
Marco Caselli, Università Cattolica del Sacro Cuore (marco.caselli@unicatt.it)
Silvia Malacarne, Università Cattolica del Sacro Cuore (silvia.malacarne@unicatt.it)
Claudia Rotondi, Università Cattolica del Sacro Cuore (claudia.rotondi@unicatt.it)