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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 4 – Ottobre-Dicembre 2021

Prima pubblicazione online: Dicembre 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000071

Governo dell’immigrazione Immigration Policy

di Ennio Codini

Abstract:

ENGLISH

La voce considera le principali divergenze tra la dottrina della Chiesa e le politiche pubbliche sull’immigrazione. Gli Stati adottano per lo più politiche restrittive. Tale orientamento deriva dall’idea che l’immigrazione sia un fenomeno negativo e gli Stati siano liberi di contrastarla. La dottrina della Chiesa invece invita le autorità a considerare gli aspetti positivi dell’immigrazione e a rispettare il diritto umano a immigrare basato sulla comune appartenenze dei beni della terra. Tale diritto va però esercitato in linea col perseguimento del bene comune dell’intera famiglia umana.

Parole chiave: Immigrazione, Governo, Restrizioni, Diritto, Bilanciamento, Diritto di emigrare, Diritto di asilo
ERC: SH2 4 Constitutions, human rights, comparative law, humanitarian law, anti-discrimination law

ITALIANO

The entry is focused on the main differences between doctrine of the Catholic Church and policies on immigration. States mostly adopt restrictive policies. This orientation derives from the belief that immigration is a negative phenomenon and states are free to oppose it. The doctrine of the Church instead invites authorities to consider the positive of immigration and to respect the human right to immigrate based on the common ownership of the good of the earth. However, this right must be exercised in alignment with the pursuit of the common good of the entire human family.

Keywords: Immigration, Regulation, Restrictions, Right, Balance, Right to emigrate, Right of asylum
ERC: SH2 4 Constitutions, human rights, comparative law, humanitarian law, anti-discrimination law

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Premessa

Il fenomeno migratorio, badando ai percorsi individuali, a partire dalla scelta di emigrare si sviluppa attraverso l’emigrazione, l’immigrazione e, infine, il conseguente soggiorno protratto nel tempo. Rispetto a tale iter questa voce considera solo l’immigrazione, ossia l’ingresso in un altro Paese per soggiornarvi stabilmente; perciò non tocca punti importanti della dottrina sociale sul fenomeno migratorio, quali il diritto di non emigrare, quello di emigrare, quello di godere nel Paese d’arrivo delle necessarie tutele (per una considerazione più ampia si vedano le voci “Migrazioni internazionali” e “Migrazioni irregolari”). Questa voce, inoltre, considera l’immigrazione solo guardando al suo governo, ossia alle politiche degli Stati. D’altra parte, il governo è riferimento fondamentale per la dottrina sociale, le politiche degli Stati considerano l’immigrazione separatamente rispetto agli altri momenti del percorso migratorio, anche nella dottrina sociale troviamo per essa distinte indicazioni e, infine, quello del suo governo è tema oggi della massima importanza.

Lo sviluppo di politiche vieppiù restrittive quale contesto della dottrina sociale

Dopo la Prima guerra mondiale c’è stato un netto cambiamento nelle politiche concernenti l’immigrazione. Se fino ad allora era prevalso, salvo che in parte dell’Asia, un orientamento favorevole, secondo il quale doveva essere regolata, ma non contrastata e addirittura era non di rado incentivata, dopo la Grande guerra si è progressivamente diffuso l’orientamento opposto. L’apertura caratteristica del passato era legata, si noti, all’idea che l’immigrazione fosse vantaggiosa per il Paese ospite. Dopo la Prima guerra mondiale progressivamente tale idea è venuta meno e si è diffusa la convinzione dell’essere invece per lo più l’immigrazione addirittura svantaggiosa. Da ciò politiche sempre più restrittive. A metà del Novecento, invero, un evento importante ha posto una particolare forma d’immigrazione sotto la tutela del diritto internazionale. Ci si riferisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Ma gli Stati, pur sottoscrivendo tale Convenzione, si sono per lo più opposti anche all’arrivo dei richiedenti asilo.

In tale contesto si è sviluppata la dottrina sociale della Chiesa sul governo dell’immigrazione, dalla costituzione apostolica Exsul familia del ’52 all’enciclica Fratelli tutti del 2020.

Alle restrizioni, si noti, ha corrisposto un realizzarsi dell’immigrazione in buona misura a prescindere da esse (vedi voce “Migrazioni irregolari”) accompagnato talvolta da tragedie e più in generale spesso dalla negazione dei diritti, se non dallo sfruttamento. Si pensi, badando agli ultimi decenni, ai milioni di stranieri giunti irregolarmente in Europa come negli USA o in Sudafrica, alle morti nel Mediterraneo, alla condizione di semi-schiavitù di molti “irregolari” in varie parti del mondo. La dottrina sociale non ha potuto non tener conto di tali effetti delle politiche restrittive (Castillo Guerra, 2015).

Rispetto all’orientamento contrario all’immigrazione in molti Paesi è emersa una forte contrapposizione tra fautori, non di rado orientati a chiedere addirittura ulteriori restrizioni, e critici. Essa ha tagliato le società in modo trasversale anche con riguardo a non poche appartenenze. In particolare, anche le comunità cristiane si sono spesso trovate divise tra chi propugna “chiusure” e chi invece invoca “aperture”. Anche questo va tenuto presente nel considerare la dottrina sociale della Chiesa sul governo dell’immigrazione.

Il diritto di immigrare

Considerando la dottrina sociale della Chiesa sul governo dell’immigrazione, va anzitutto osservato che essa, pur essendosi sviluppata in un arco di tempo ormai piuttosto lungo (quasi settant’anni prendendo come estremi i due documenti sopra indicati), non sembra aver conosciuto marcate discontinuità nel suo definirsi. Man mano nel tempo è andata sempre più articolandosi – attraverso un gran numero di documenti su diversi temi, non essendocene, si noti, nessuno specificamente sul governo dell’immigrazione – rimanendo però sempre costante nell’essenziale. Perciò non la si esporrà seguendo un ordine cronologico, bensì se ne proporrà una ricostruzione in termini di proposizioni chiave.

Alla base troviamo l’affermazione della sussistenza di un diritto di immigrare (parte di un più ampio diritto di migrare comprensivo anche di quello di emigrare). Esso, si noti, non viene ravvisato solo in capo a quanti sono protetti dalla Convenzione di Ginevra e nemmeno solo in capo a coloro che fuggono da situazioni, comunque, di particolare difficoltà (per i quali si rinvia alla voce “Migrazioni forzate”), essendo invece esteso a chiunque sia alla ricerca di migliori opportunità di vita (Pacem in terris, 1963, 12; Fratelli tutti, 45), ed è configurato anche come un diritto della famiglia (Familaris consortio, 1981, 46) per lo meno al ricongiungimento (Gaudium et spes, 1965, 66; Carta dei diritti della famiglia, 1983, 12).

L’affermazione della sussistenza di tale diritto confligge in linea di principio con la posizione degli Stati che hanno adottato orientamenti restrittivi ritenendosi in generale liberi di “dire di no” all’immigrazione contrastando persino l’arrivo dei richiedenti asilo e non di rado anche il ricongiungimento familiare. Non vi è una tale libertà, secondo la dottrina sociale. Non è accettabile, ad esempio, “che mentre in qualsivoglia luogo la terra offre abbondanza, per motivi non sufficienti e per cause non giuste ne venga impedito l’accesso a stranieri bisognosi” (cfr. Exsul familia).

Talvolta l’affermazione del diritto in questione viene esplicitamente collegata all’esigenza di almeno limitare le tragedie e le situazioni, comunque, di degrado legate all’immigrazione irregolare offrendo canali legali (Erga migrantes caritas Christi, 2004, 7).

Altro però è il fondamento del diritto. Esso, secondo un’idea lontana dal sentire degli Stati che ragionano in termini di ricchezza “propria”, viene ravvisato nell’appartenenza comune dei beni della terra (in generale indicata al punto 2402 del Catechismo). Dio “ha creato tutte le cose in primo luogo ad utilità di tutti” perciò, di regola, non va “impedito l’accesso a stranieri bisognosi” (cfr. Exsul familia) perché “ogni Paese è anche dello straniero” (Fratelli tutti, 124).

I limiti di tale diritto

Il diritto di immigrare non è però secondo la dottrina sociale incondizionato quanto al suo esercizio. Gli Stati non sono liberi di “dire di no” all’immigrazione, ma possono limitarla in determinate situazioni secondo una logica di bilanciamento (Marzen-Woodyard, 2016).

Nel Catechismo si parla di un dovere di accogliere “nella misura del possibile” (2241). Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004) si parla di una “regolazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio” (298). Quali siano le situazioni che possono condurre a limitazioni e come debba essere fatto il bilanciamento non è specificato dalla dottrina sociale. In essa vi sono però indicazioni importanti a riguardo.

Vanno in ogni caso attentamente considerati i vantaggi, oggi trascurati invece dagli Stati, dell’immigrazione che “può essere una risorsa” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 297) non solo perché i lavoratori stranieri “recano un contributo significativo allo sviluppo economico del Paese ospite” (Caritas in veritate, 2009, 62), ma anche più ampiamente perché gli immigrati per le comunità in cui si inseriscono “sono un’opportunità di arricchimento e di sviluppo umano integrale” (Christus vivit, 2019, 93). Ciò fermo restando il valore della gratuità che deve portare ad “accogliere lo straniero, anche se al momento non porta un beneficio tangibile” (Fratelli tutti, 2020, 139).

Dopo di che, in generale, per l’individuazione delle situazioni atte a giustificare limitazioni e per i termini del conseguente bilanciamento ci si deve riferire al bene comune che, si noti, va considerato, diversamente da quanto fanno gli Stati, con riguardo all’intera famiglia umana (Gaudium et spes, 1965, 26; Rougeau, 2008). Perciò, tra l’altro, non si può ragionare, come invece spesso fanno gli Stati, in termini di mera difesa della propria prosperità o della propria sicurezza attraverso l’esclusione degli altri (Centesimus annus, 1991, 27).

In concreto, le indicazioni sembrano condurre a un orientamento, diverso da quello comunemente adottato dagli Stati, secondo il quale l’immigrazione dovrebbe essere limitata solo in relazione al rischio concreto di avere, a seguito di essa, una situazione tale per cui il bene comune di cittadini e immigrati sarebbe effettivamente pregiudicato.

I Venti Punti per il Global Compact

Nel dicembre del 2018 più di centocinquanta Stati hanno sottoscritto il documento ONU Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration. Esso riprende in parte le indicazioni di una proposta della Santa Sede, Rispondere alle sfide dei migranti e dei rifugiati. Venti punti di azione (2017), redatta dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

L’approccio nei Venti Punti, in linea con le finalità del Global Compact, non è quello di riaffermare il diritto di emigrare e di immigrare o di affrontare la questione del bilanciamento di quest’ultimo con eventuali opposte esigenze riconducibili, nella prospettiva della dottrina sociale, al bene comune, bensì quello di promuovere, assumendo come un dato le scelte degli Stati circa le restrizioni, percorsi migratori, come detto nella titolazione completa del Global Compact, sicuri, ordinati e legali.

L’attenzione, inoltre, è più per il soggiorno conseguente all’immigrazione che non per quest’ultima. Tuttavia, anche a proposito dell’immigrazione troviamo indicazioni importanti che di fatto toccano la questione delle restrizioni.

Quanto ai richiedenti asilo, nei Venti punti si chiede agli Stati d’impegnarsi a adottare o sviluppare la pratica di concedere visti umanitari (punto 2a) quale alternativa all’arrivo irregolare e, spesso, insicuro. La richiesta, che ha poi trovato riscontro nel punto 21 (lettere g e h) del Global Compact, formalmente non tocca la questione delle restrizioni all’immigrazione, perché gli Stati sono ufficialmente aperti ai richiedenti asilo secondo la Convenzione di Ginevra, ma lo fa sostanzialmente, perché uno degli strumenti usati dagli Stati per ostacolare l’arrivo di tali persone è proprio quello di non concedere visti umanitari.

Nei Venti punti, poi, per tutelare il diritto della famiglia di immigrare si chiede agli Stati d’impegnarsi a consentire il ricongiungimento a tutti i suoi membri “anche nonni, fratelli, sorelle e nipoti” (punti 2f e 14b), superando il riferimento, spesso adottato dai governi, alla mera famiglia nucleare. Toccando formalmente la questione delle restrizioni, questa richiesta non ha trovato riscontro nel Global Compact.

Conclusioni

Com’è emerso, non per questo o quell’aspetto, ma nel suo insieme la dottrina sociale sul governo dell’immigrazione appare tendenzialmente antitetica all’orientamento degli Stati: appartenenza comune dei beni vs “egoismo nazionale”; diritto di immigrare vs libertà di chiudere le frontiere; immigrazione come opportunità vs immigrazione come minaccia; bilanciamento secondo il bene comune dell’intera famiglia umana vs bilanciamento secondo l’interesse statuale.

Nel contesto della forte contrapposizione che segna molte società il Magistero si è trovato così tra quanti invocano “aperture” realizzandosi una “convergenza con molte persone di buona volontà” non religiose (Blume, 2002), ma anche un contrasto con non pochi cristiani (Geisser, 2013).

Peraltro, se è vero come è vero che al di là della contrapposizione di cui sopra ci sono poi all’interno dei due campi orientamenti differenti, la posizione del Magistero non può essere confusa con quella di coloro che auspicano un’apertura “senza se e senza ma”.

Il riferimento al bene comune dell’intera famiglia umana apre piuttosto prospettive per politiche di apertura bilanciata orientate al massimo possibile soddisfacimento delle esigenze autenticamente umane in gioco in uno scenario che è sicuramente drammatico (Caritas in veritate, 62), ma davanti al quale non deve venir mai meno la speranza di un arrivo che “si trasforma in un dono” (Fratelli tutti, 133).


Bibliografia
Blume M.A. (2002), Migration and the Social Doctrine of the Church, «People on the Move», 88-89, 1-9.
Castillo Guerra J.E. (2015), Contributions of the Social Teaching of the Roman Catholic Church on Migration, «Exchange», 44, 4, 403-427.
Geisser V. (2013), Immigration, nationalité, solidarité: l’église a-t-elle encore quelque chose à dire?, «Migrations Société», 25, 145, 7-16.
Marzen C.G. - Woodyard W. (2016), Catholic Social Teaching, the Right to Immigrate, and the Right to Regulate Borders, «San Diego Law Review», 53, 781, 781-828.
Rougeau V.D. (2008), Catholic Social Teaching and Global Migration: Bridging the Paradox of Universal Human Rights and Territorial Self-Determination, «Seattle University Law Review», 32, 343, 343-359.


Autore
Ennio Codini, Università Cattolica del Sacro Cuore (ennio.codini@unicatt.it)