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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 4 – Ottobre-Dicembre 2021

Prima pubblicazione online: Dicembre 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000067

Dialogo e pace nel contesto internazionale Dialogue and peace in the international context

di Paolo Maggiolini

Abstract:

ENGLISH

Nel solco di una più ampia riflessione sul tema della pace nelle società contemporanee e della necessità di oltrepassare i limiti di una sua concezione negativa, come semplice assenza di violenza, il principio del dialogo rappresenta non solo uno strumento necessario, ma un vero e proprio metodo per creare relazioni positive. Il Magistero della Chiesa Cattolica non ha solo saputo confrontarsi con tale dibattito, ma anche dimostrato la forza di anticipare e accompagnare molte delle sue più recenti intuizioni.

Parole chiave: Dialogo e sfera internazionale, Pace positiva, Pace giusta, Dialogo, Pace, Conflitto, Dialogo e risoluzione dei conflitti, Negoziato, Sicurezza umana
ERC: SH3_6; SH6_9; SH6_8; Nell’ambito di SPS 14/B1

ITALIANO

In the wake of a broader reflection on peace in contemporary societies and the need to overcome its negative understanding, as a simple absence of violence, the principle of dialogue represents not only a necessary tool, but a real method for creating positive relationships. The Magisterium of the Catholic Church has not only been able to engage with this debate but has also shown the strength to anticipate and assist many of its most recent insights.

Keywords: Dialogue and international dimension, Positive peace, Just peace, Dialogue, Peace, Conflict, Dialogue and conflict-resolution, Negotiation, Human security
ERC: SH3_6; SH6_9; SH6_8; Nell’ambito di SPS 14/B1

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Seppur la correlazione tra pace e dialogo possa apparire naturale, finanche scontata, nell’ambito degli studi internazionalistici le riflessioni sul ruolo di tale relazione si sono realmente sviluppate solo a partire dalla seconda metà del Novecento. In particolare, l’attenzione nei confronti del rapporto tra dialogo e pace si è fatta strada nel solco del tentativo di affermare una definizione positiva di quest’ultima, prendendo le distanze da visioni minimaliste e negative che hanno tradizionalmente inteso descriverla come semplice assenza di conflitto (Thune, 2015). La pace positiva e giusta non si accontenta di registrare l’interruzione delle violenze e delle ostilità tra le parti in causa, ma si concentra sulla promozione di una regolamentazione equilibrata e condivisa dei loro rapporti, coinvolgendo tanto gli Stati quanto gli individui e le comunità (Ramirez, 2007). Come ricorda Papa Francesco, la pace non può essere mai il risultato dipendente dal “solo equilibrio delle forze e della paura” (LII Giornata mondiale della pace 2019, 6). Infatti, non si deve cedere a quanti “preferiscono non parlare di riconciliazione, perché ritengono che il conflitto, la violenza e le fratture fanno parte del funzionamento normale di una società” (Fratelli tutti, 2020, 236). Papa Francesco osserva che “una pace, che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza” (Evangelii gaudium, 2013, 219). Secondo questa accezione il dialogo non si manifesta semplicemente con la condivisione di uno strumento di risoluzione dei conflitti che consente di approdare a uno stadio di pace negativa, ma diviene il perno per alimentare una comune visione e concezione del mondo nel solco dei concetti di pace positiva e giusta, agendo quindi sugli atteggiamenti e sui comportamenti per la realizzazione di uno sviluppo integrale dell’uomo.

Il Concilio Vaticano II e il rapporto tra pace e dialogo

Il pensiero della Chiesa Cattolica sul rapporto tra pace e dialogo ha vissuto un periodo particolarmente intenso nel corso del Concilio Vaticano II. I risultati di tale sforzo si sono manifestati tanto attraverso i documenti conciliari, a partire dalla lettera enciclica Pacem in terris, quanto mediante nuove iniziative e istituzioni.

I documenti conciliari del Vaticano II suggeriscono una precisa interpretazione del rapporto tra dialogo e pace, concependolo “come metodo, che cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del linguaggio ragionevole e sincero; e come contributo, di esperienza e di sapienza, che può in tutti ravvivare la considerazione dei valori supremi” (Ecclesiam suam, 1964, 110). Il dialogo non è, quindi, solo lo strumento necessario per regolare la vita di “società contemporanee sempre più complesse e pluraliste” (Gaudium et spes, 1965, 23), ma è soprattutto il fondamento su cui articolare la via per “salvare l’uomo” ed edificare l’“umana società” (Gaudium et spes, 1).

Nel gennaio del 1967 la creazione della Pontificia Commissione “Giustizia e Pace” ha rappresentato un primo momento per realizzare gli auspici contenuti nella Gaudium et spes, dando vita a un organismo volto “a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni” (Gaudium et spes, 90). Lungo questo solco, la decisione di Paolo VI di organizzare la prima “Giornata della pace” nel gennaio 1968 e la sua esortazione a farne un appuntamento annuale hanno rappresentato un altro significativo gesto con cui il Pontefice ha inteso invitare a un dialogo costante sui temi della pace che fosse aperto a tutti secondo le rispettive sensibilità e credenze. Egli ammoniva a non equiparare pace a “pacifismo”, ma a proclamare piuttosto “i più alti ed universali valori della vita: la verità, la giustizia, la libertà, l’amore” (I Giornata mondiale per la pace 1968).

Gli anni Ottanta e Novanta: una nuova fase di riflessione su dialogo e pace

Guardando ai grandi rivolgimenti politici degli anni Ottanta, Giovanni Paolo II promosse la ristrutturazione della Commissione “Giustizia e Pace” in Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace mediante la Costituzione apostolica Pastor bonus. Tale decisione servì tanto a consolidare una linea di riflessione già avviata nel corso della seconda metà degli anni Sessanta quanto ad allargare il perimetro di analisi delle molteplici sfide alla pace a livello internazionale, abbracciando tanto i temi del disarmo e delle numerose minacce alla sicurezza quanto quelli dei diritti dell’uomo e della giustizia sociale. Nel 1991, Papa Giovanni Paolo II richiamava alla necessità “di mostrare che i complessi problemi di quei popoli possono essere risolti col metodo del dialogo e della solidarietà, anziché con la lotta per la distruzione dell’avversario e con la guerra” (Centesimus annus, 22). La riflessione della Chiesa Cattolica ribadiva quindi l’invito a vivere il dialogo come servizio in favore della costruzione della pace e come unico metodo per dipanare contese e scongiurare i conflitti, esprimendo un netto rifiuto della violenza come mezzo politico legittimo.

In tal senso, sulla scia del Vaticano II, questa riflessione ha contribuito a sviluppare il pensiero sulla relazione tra dialogo e pace oltre le tradizionali visioni negative di quest’ultima, riconoscendo che essa può essere solo il frutto tanto di più equilibrate relazioni tra gli Stati quanto dell’impegno e del coinvolgimento degli individui, delle comunità e dei popoli. Si scorge così una sorta di anticipazione di molte delle intuizioni che di lì a poco avrebbero condotto alla piena introduzione dei concetti di human security e pace positiva nell’ambito degli studi internazionalistici e sulla sicurezza agli inizi degli anni Novanta.

Dialogo e pace nell’ambito della risoluzione dei conflitti

Venendo, invece, alla dimensione della risoluzione pacifica dei conflitti, la riflessione sul rapporto tra dialogo e pace ha inevitabilmente riguardato anche il piano pratico, ossia le vie attraverso cui immaginare e realizzare percorsi di mitigazione, risoluzione e ricomposizione (Thune, 2015). Tre sono gli ambiti ormai canonicamente riconosciuti in questo campo e che interrogano direttamente il principio del dialogo in rapporto alla pace. Innanzitutto, si ha la dimensione del cosiddetto track-one, ossia dell’impegno delle diplomazie tradizionali e degli Stati che si dedicano in vario modo alla creazione di tavoli negoziali volti alla risoluzione dei conflitti. Si pone, poi, l’attenzione su un secondo possibile ambito di azione, ossia track-two, in cui entra in gioco la diplomazia non-ufficiale allo scopo di avviare processi di costruzione di mutuo riconoscimento e fiducia capaci di aprire a scenari di pacificazione e negoziato (Allen, Sharp, 2017). Infine, più recentemente, l’esercizio del dialogo si è aperto al coinvolgimento di movimenti di base e organizzazioni dedite a progetti di sviluppo e assistenza delineando così un ulteriore livello, quello track-three, che combinato al precedente possa rafforzare la promozione di processi positivi di ricomposizione e condivisione.

Dialogo e promozione della pace da parte della Chiesa

L’attività di promozione della pace attraverso il dialogo vede la Chiesa coinvolta in tutti e tre questi livelli di azione. Vi è lo sforzo quotidiano delle rappresentanze pontificie volto a diffondere il valore del dialogo e a prevenire l’insorgere di ogni tipo di polarizzazione tanto all’interno degli stati quanto tra le nazioni. È, poi, necessario ricordare l’impegno della Chiesa nelle numerose organizzazioni internazionali, che mira a radicare il dialogo come unico strumento effettivo per la ricomposizione delle contese, la loro prevenzione, e per la gestione delle tensioni a livello globale (Tomasi, 2017). Infine, nell’ambito del track-two e track-three, il mondo cattolico ha dimostrato di voler offrire il proprio contributo tanto sul piano della riflessione quanto su quello concreto del campo, come dimostrano ad esempio le iniziative del Mozambico con la Comunità di Sant’Egidio, nelle Filippine con la Conferenza Vescovi-Ulema del Mindanao o in Guatemala in cui la Chiesa ha direttamente partecipato nell’attività di risoluzione del conflitto. In questo caso, la Chiesa si propone come voce “terza” e mediatrice tra parti in contesa che non si parlano, per far sì che il dialogo possa nascere anche in situazioni di così marcata polarizzazione e scontro. Ricorda il Magistero della Chiesa cattolica che la pace deve essere raggiunta “non con il ricorso alla forza, con la frode o con l’inganno, ma, come si addice agli esseri umani, con la reciproca comprensione, attraverso valutazioni serenamente obiettive e l’equa composizione” (Pacem in terris, 1963, 51).

Il dialogo in più dimensioni come metodo per costruire la pace

A tal proposito, Giovanni XXIII sottolineava non solo l’importanza che le “assemblee più alte e qualificate considerino a fondo il problema della ricomposizione pacifica dei rapporti tra le comunità politiche sul piano mondiale” (Pacem in terris, 63), ma che tutti “gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore” (Pacem in terris, 67). Leggendo queste parole si comprende la funzione del dialogo nei contesti di risoluzione dei conflitti non solo come strumento che permette di ripristinare la situazione precedente allo scoppio della violenza, ma come metodo volto a creare nuovo valore e un’inedita realtà positiva in cui le parti in causa traggano ancor più benefici di prima (Ramirez, 2007). Per quanto complessa e irta di ostacoli possa essere la promozione della pace non deve quindi ridursi alla sfera della sicurezza, ma deve impegnarsi attraverso il contributo di tutti gli attori interessati per realizzare percorsi di trasformazione e sviluppo integrale delle società scosse dal conflitto attraverso un dialogo ampio e aperto alla diversità. A tal proposito, Giovanni Paolo II intese richiamare con forza all’importanza di riconoscere la specificità del ruolo del dialogo e dei presupposti su cui esso deve essere coltivato, non dimenticando che esso “non nasce da tattica o da interesse, ma è un’attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità” (Redemptoris missio, 1990, 55). Tale osservazione si coniuga con l’impegno e la dedizione allo studio del dialogo, delle sue ragioni, degli strumenti e metodologie necessarie a realizzarlo, evitando facili illusioni e prendendo le distanze da visioni strumentali o riduttive di tale principio.

Pace, dialogo e conflittualità contemporanea

Di fronte alla crescente attenzione rispetto ai fattori identitari e al loro ruolo nei conflitti contemporanei (Ramirez, Abad-Quintanal, 2018) la Chiesa cattolica ha posto poi particolare attenzione a due particolari forme di dialogo al servizio della pace e della comune comprensione, ossia il dialogo interreligioso e quello ecumenico in linea con le disposizioni di Nostra aetate.

Nel 2001, Giovanni Paolo II decise di dedicare al dialogo tra le culture l’intera riflessione annuale sulla pace, descrivendolo come “la via necessaria per l’edificazione di un mondo riconciliato, capace di guardare con serenità al proprio futuro”, e definendolo “un tema decisivo per le prospettive della pace” (XXXIV Giornata mondiale della pace 2001, 3). Ribadiva poi nel 2008 Benedetto XVI che “le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le proprie esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione” (Discorso alle Nazioni Unite, 2008). Papa Francesco ha poi sottolineato che “le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza” (Fratelli tutti, 271). A tal proposito, richiamando l’esperienza dei Vescovi dell’India, egli concludeva che “l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore” (Fratelli tutti, 271).

Papa Francesco, dialogo, pace e lo sviluppo umano integrale

Il dialogo viene concepito da Bergoglio come uno degli elementi che testimoniano l’“amicizia sociale” e la fratellanza. È in questo modo che diviene possibile “arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale” (Fratelli tutti, 211). Egli ricorda che la pace non può essere realmente raggiunta “se non quando vi sia un convinto dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di là delle ideologie e delle opinioni diverse” (LIII Giornata mondiale della pace 2020, 2). Secondo il Pontefice “il processo di pace è quindi un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta” (ibid.). Papa Francesco afferma che “quando i conflitti non si risolvono ma si nascondono o si seppelliscono nel passato, ci sono silenzi che possono significare il rendersi complici di gravi errori e peccati. Invece la vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la trattativa trasparente, sincera e paziente” (Fratelli tutti, 249).

Il contributo di Papa Francesco alla riflessione sul rapporto tra dialogo e pace non solo entra in relazione con l’odierno dibattito sulla human security e la responsabilità di realizzarne i contenuti, ma offre attraverso il principio del dialogo nelle sue diverse forme una prospettiva attiva volta alla ricerca e promozione dello sviluppo umano integrale, creando nuovo valore e significato. Tali pensieri hanno trovato anche forma dal punto di vista organizzativo, dando nuovo slancio a quel continuo percorso di aggiornamento e contestualizzazione della Chiesa cattolica di fronte alle sfide della contemporaneità. A tal proposito è emblematica la sua decisione di dar vita nel 2016 al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, riunendo in questo organismo quattro dicasteri, tra cui il Pontificio Consiglio per la Giustizia e per la Pace, stabilendo così un profondo legame tra le sfere della giustizia, della pace e della salvaguardia del creato.


Bibliografia
• Allen N., Sharp T. (2017), Process Peace: A New Evaluation Framework for Track II Diplomacy, «International Negotiation», 22(1), pp. 92-122.
• Ramirez J.M. (2007), Peace through Dialogue, «International Journal on World Peace», 24(1), pp. 65-81.
• Ramirez J.M., Abad-Quintanal G. (eds.) (2018), Cross-Cultural Dialogue as a Conflict Management Strategy, Springer.
• Thune H. (ed.) (2015), Dialogue and Conflict Resolution: Potential and Limits, Ashgate Publishing.
• Tomasi S.M., The Vatican in the Family of Nations: Diplomatic Actions of the Holy See at the UN and Other International Organizations in Geneva, Cambridge University Press.


Autore
Paolo Maggiolini, Università Cattolica del Sacro Cuore (paolomaria.maggiolini@unicatt.it)