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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 4 – Ottobre-Dicembre 2021

Prima pubblicazione online: Dicembre 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000069

Insolvenza e persona: profili etici Some ethical issues in debt forgiveness

di Mario Anolli

Abstract:

ENGLISH

Il rapporto debitore-creditore in caso di insolvenza presenta profili etici importanti. Diversi filoni di analisi etica possono essere richiamati. La Dottrina sociale della Chiesa propone una visione autonoma: il contratto di debito, in tutte le sue fasi, deve essere conformato in modo da condizionare il benessere economico “reale ed integrale” agli elementi di qualità umana delle relazioni che i meccanismi economici, da soli, non sono in grado di produrre e rispettando il principio che la finanza è “a servizio dell’uomo”, sia esso debitore o creditore.

Parole chiave: Insolvenza, Remissione del debito, Vita buona, Posizione originaria, Utilitarismo
ERC: SH1_4

ITALIANO

The relationship debtor-creditor in the event of default carries important ethical profiles. Different strands of ethical analysis can be evoked. The Social Doctrine of the Church offers an autonomous vision: the debt contract, in all its phases, must be conformed in such a way as to condition the “real and integral” economic well-being to the elements of human quality of the relationships that the economic apparatus, alone, is not able to generate and respecting the principle that finance is “at the service of man”, either debtor or creditor.

Keywords: Default, Debt forgiveness, Good life, Original position, Utilitarianism
ERC: SH1_4

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Etica e insolvenza

La riflessione che segue riguarda i risvolti etici delle modalità di svolgimento del rapporto tra debitore-consumatore e creditore in caso di insolvenza (Anolli, 2021).

L’evoluzione del credito può presentare diversi stadi di anomalia: il ritardo nel rispetto delle scadenze, la rinegoziazione del debito e, infine, la vera e propria insolvenza. In ognuno di questi stadi, l’andamento del rapporto tra creditore e debitore si confronta con decisioni, che, nell’ambito dell’impianto normativo tempo per tempo vigente, interrogano le parti anche sotto il profilo etico.

La letteratura aziendale più avanzata da tempo usa approcci che “mettono in conto” in modo oggettivo e non moralistico il fenomeno dell’insolvenza. Per contro, la mera osservazione linguistica – nella quale il debito non rimborsato assume uno stigma di colpa (“bancarottiere”, “fallito”, “insolvente”) – denota connotazioni etiche negative. Lo stigma linguistico e sociale spesso accompagna (o precede) il giudizio morale e rischia di influenzare l’individuazione delle soluzioni al problema dell’insolvenza.

L’esame dei profili etici dell’insolvenza deve partire dal concetto di mancato rispetto di una promessa, fatta dalla persona poi rivelatasi insolvente, e dalla regola, non controversa in campo etico, che le promesse vadano fatte in buona fede (ovvero con l’intenzione di rispettarle) e che chi ha promesso non adotti consapevolmente comportamenti che conducano al mancato rispetto delle stesse. Ci si riferisce, qui e nel seguito, ai debiti assunti volontariamente. Un caso particolare riguarda invece il trattamento dei debiti che sorgono non a seguito di un accordo tra due parti, ma a seguito di norme (come per esempio i debiti fiscali) o di eventi involontari (come per esempio per risarcimento danni).

Quattro grandi filoni

Quattro grandi filoni filosofici possono essere richiamati per discutere dell’etica dell’insolvenza.

1. La legge naturale, in base alla quale vi sono regole innate (quali quella di rispettare le promesse) e che entra tuttavia in contraddizione, con riferimento al fenomeno dell’insolvenza, con una visione “moderata” del dovere, ovvero con il fatto che, in alcune circostanze, il debito (o una sua porzione) possa non essere ripagato, senza che ciò costituisca una violazione etica. La contraddizione tra legge naturale e comportamento concreto è risolta nella filosofia di Tommaso d’Aquino con la teoria del doppio effetto: una data azione può dare origine a due effetti diversi e opposti, uno buono (es. alleviare un grave disagio al debitore insolvente) e uno cattivo (es. comprimere i diritti del creditore). Perché l’azione che produce effetti collaterali sia accettabile eticamente devono essere rispettate quattro condizioni: I. la natura dell’azione dev’essere buona; II. la finalità deve essere buona: l’effetto negativo non può essere il fine dell’azione, ma solo la conseguenza; III. l’intenzione dev’essere buona e gli effetti negativi vanno minimizzati; IV. vi deve essere proporzionalità, ovvero l’effetto negativo non dev’essere maggiore di quello buono.

2. L’approccio utilitarista, in base al quale il mantenimento delle promesse presenta una convenienza di medio termine che induce a fare sì che i contratti siano rispettati anche in situazioni che immediatamente risultano svantaggiose. In tale ottica, è interesse di entrambe le parti (debitore e creditore) che viga il principio in base al quale i debiti devono essere rimborsati.

3. L’approccio deontologico, in base al quale va innanzitutto considerato il principio dell’imperativo categorico (le promesse vanno assunte in buona fede e mantenute sempre, in quanto promesse e non in quanto convenga). Inoltre, assume rilievo il principio di autonomia (se non è possibile adempiere a un’obbligazione, anche il dovere morale di rispettare i propri impegni ne è proporzionalmente ridotto) che fa sì che il debitore impossibilitato ad assolvere non abbia responsabilità morale dell’insolvenza (la libertà di azione è condizione indispensabile per la responsabilità). In tal caso l’insolvenza non costituisce violazione delle proprie promesse, ma perdita di autonomia relativamente alle proprie scelte. Per contro, e per il medesimo principio di autonomia, il creditore non può essere strumentalmente assoggettato alle conseguenze del comportamento del debitore, quando questo sia dettato dalla ricerca di benefici.

4. In un impianto à la Rawls basato sul concetto di posizione originaria, ogni soggetto che operi “dietro il velo dell’ignoranza” e quindi non sappia quale “posizione” andrà a occupare – debitore o creditore di un debito insoluto – sceglierà l’assetto nel quale gli oneri per chi occupa la posizione meno vantaggiosa saranno i minori fra le varie soluzioni alternative. Quindi rimborsare i debiti è corretto perché è corretta la pratica sociale che ne deriva, a prescindere da quella che sarà la posizione (debitore o creditore) che si andrà concretamente a occupare. Per lo stesso motivo, il soggetto nella posizione originaria difficilmente concorderebbe con l’assoluta non condonabilità, in nessuna circostanza, del debito, non sapendo quale posizione andrà ad occupare.

Debito e finanza nella Dottrina sociale della Chiesa

Sul fenomeno finanziario e sulle sue implicazioni etiche prende posizione con nettezza la Dottrina sociale della Chiesa cattolica (DSC), ritenendo che i temi di natura economica abbiano una pesante influenza sulla vita delle persone e che quindi essi debbano essere visti non autonomamente e acriticamente, ma piuttosto strumentalmente alla realizzazione del vero destino della persona in quanto creatura di Dio. I principi etici generali che più si possono applicare a tale visione del mondo sono i principi dei diritti, della giustizia (l’uomo ha diritto alla propria dignità, alla vita religiosa, a una giusta remunerazione) e della virtù (sono buone le soluzioni che consentono e promuovono la realizzazione della vera natura umana – “sviluppo umano integrale”, vita buona).

Con riferimento al fenomeno finanziario, compendia e riassume la DSC in tema di economia e finanza il documento Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (2018), che segue idealmente l’enciclica Caritas in veritate (2009).

Nelle Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (OPQ), per quanto qui rileva, emergono importanti i seguenti principi:

1. Lo sviluppo dell’economia e della finanza esercita un rilevante influsso sul benessere materiale dell’umanità e ciò “reclama, da una parte, un’adeguata regolazione delle loro dinamiche, e dall’altra, una chiara fondazione etica, che assicuri al benessere raggiunto quella qualità umana delle relazioni che i meccanismi economici, da soli, non sono in grado di produrre” al fine di promuovere “un benessere per l’uomo che sia reale ed integrale” (OPQ, 1);

2. L’attuale assetto economico, pur in un quadro di significativo incremento del benessere generale, ha visto una crescita delle disuguaglianze, causate da un assetto non abbastanza attento al bene comune e governato da principi obsoleti, che non sono in grado di limitare adeguatamente “gli aspetti predatori e speculativi” (OPQ, 5);

3. La crisi finanziaria ha dimostrato che i mercati non sono in grado di regolarsi da sé poiché “non sanno né produrre quei presupposti che ne consentono il regolare svolgimento (coesione sociale, onestà, fiducia, sicurezza, leggi...), né correggere quegli effetti e quelle esternalità che risultano nocivi alla società umana (disuguaglianze, asimmetrie, degrado ambientale, insicurezza sociale, frodi…)” (OPQ, 13);

4. Le asimmetrie informative e di forza negoziale che caratterizzano i mercati possono condurre alla circostanza che “nel mondo economico-finanziario si verificano delle condizioni in cui alcuni di questi mezzi, benché non immediatamente inaccettabili dal punto di vista etico, configurano però dei casi di immoralità prossima, vale a dire occasioni in cui molto facilmente si generano abusi e raggiri, specie ai danni della controparte meno avvantaggiata” come accade per alcuni strumenti finanziari collocati “in una situazione di asimmetria, approfittando delle lacune cognitive o della debolezza contrattuale di una delle controparti” e quindi in “violazione della debita correttezza relazionale” (OPQ, 14), il che costituisce grave violazione etica. Si suggerisce, a proposito di asimmetrie, il superamento del tradizionale principio del caveat emptor, principio in base al quale è onere di diligenza del compratore verificare la qualità del bene acquistato e la sua corrispondenza a quanto promesso dal venditore. Tale principio presuppone “parità nella capacità di tutelare i propri interessi da parte dei contraenti” (OPQ, 14), che spesso non è realizzata nell’esperienza corrente; è inaccettabile sotto il profilo etico “l’avvalersi di un’asimmetria a proprio vantaggio” e “lucrare sfruttando la propria posizione dominante con ingiusto svantaggio altrui” (OPQ, 17);

5. Il rischio del corrente assetto della finanza è che si realizzi una “inversione di ordine fra mezzi e fini, per cui il lavoro da bene diviene strumento e il denaro da mezzo diviene fine” (OPQ, 15), mentre invece il denaro “deve servire e non governare” (OPQ, 6). Occorre quindi proporre nuove forme di relazioni economiche e finanziarie orientate al perseguimento del bene comune e della generalizzazione della dignità dell’uomo.

Etica e condonabilità del debito

È possibile affermare che gli obblighi e i diritti morali possono essere divisi in due categorie.

La prima e più fondamentale categoria deriva dalla natura umana e quindi riguarda diritti che sono inalienabili e condivisi da tutte le persone grazie alla loro natura autonoma. Questi diritti (diritti umani) non sono condizionati a nulla altro che ad essere parte della specie umana; nella prospettiva del debito si tratta dell’autonomia, che non può essere compressa oltre certi livelli (per esempio, standard di vita minimo).

La seconda categoria è invece contingente e richiede che i membri della società concordino, mediante qualche atto volontario, di obbligarsi a certi comportamenti, che tuttavia possono comprimere, ma non distruggere, la fondamentale categoria del primo tipo (l’autonomia). Il dovere morale di rimborsare i debiti ricade in questa seconda categoria di carattere contingente (e subordinato): in quanto si tratta di un dovere conseguenza di una promessa, deve essere invocato da un particolare atto del libero arbitrio (autonomo) e comporta un impegno che limita e circoscrive l’autonomia delle parti solo finché l’autonomia stessa esiste. Quando l’autonomia sia stata compressa a seguito dell’insolvenza, occorre considerare se essa possa tornare o se rimanga permanentemente “sequestrata” dai creditori insoddisfatti. Se l’insolvente recupera autonomia dopo che sono stati rimessi i suoi debiti, le promesse fatte precedentemente all’insolvenza sono ancora valide, oppure quell’autonomia (storica) è stata distrutta dall’insolvenza?

Nella prospettiva della DSC vi è qualcosa di più, ovvero il contratto di debito deve essere conformato in modo da condizionare il benessere economico complessivo agli elementi di “qualità umana delle relazioni” che i meccanismi economici, da soli, “non sono in grado di produrre” al fine di promuovere un benessere “reale ed integrale” (OPQ, 1). L’economia, la finanza e i suoi contratti (incluso quello di debito) sono subordinati al rispetto dei principi di libertà, verità, giustizia e solidarietà e l’ambito economico va inteso sempre “a servizio dell’uomo”; il denaro “deve servire e non governare” (OPQ, 6).

Possiamo quindi concludere che il dovere di rimborsare i debiti, avendo natura secondaria e contrattuale, si arresta di fronte a compressioni dell’autonomia che sono giudicate inaccettabili, tenuto conto che il livello di accettabilità si evolve con l’evoluzione del costume.

Limiti alla rimborsabilità dei debiti

Con riferimento ai limiti alla rimborsabilità dei debiti, va considerata la circostanza dell’impossibilità sopravvenuta, senza responsabilità da parte del debitore: ripagare un debito può rivelarsi impossibile, a seguito di eventi sopravvenuti (si pensi, in caso di debito personale, a life events quali separazioni matrimoniali, gravi malattie, perdita del lavoro). In tal caso, cessata l’autonomia del debitore, l’obbligo morale di adempiere viene meno e quindi non vi è nulla di moralmente sbagliato nel sollevare dal suo obbligo il debitore.

Non c’è quindi niente di eticamente condannabile nel fatto che ai debitori sia condonato l’eccesso di peso che non riuscirebbero comunque a pagare. Bisogna prestare tuttavia attenzione, in punto di giustizia ed equità generale, al fatto che il disagio proveniente da un debito eccessivo assunto in modo informato e non irresponsabile (e che si risolverebbe con il suo condono per peso eccessivo sopravvenuto) non è per sé diverso dal disagio che nasce a fronte di cause diverse (e indipendenti dal debito) quali cattiva salute o perdita del lavoro. In questo caso, per mantenere un principio di giustizia sociale, dovrebbero essere destinate risorse a forme di reddito universale, accesso a sostegno per i bisogni primari di abitazione, istruzione, cura della salute, estese a tutti i soggetti bisognosi, a prescindere dalla loro situazione debitoria.

I temi etici (oltre a quelli legali) sono in questo caso concentrati sui creditori e sulla ripartizione dell’onere dell’insolvenza, con parità di trattamento. Inoltre, il contratto di credito lega due parti e questo significa che, in caso di difficoltà inaspettate (in buona fede, da entrambe le parti), l’onere va ripartito tra creditore e debitore, dal momento che il giudizio circa la probabilità di rimborso è stato errato da entrambe le parti all’atto della stipulazione del contratto. Vi è, quindi, una responsabilità condivisa, che a sua volta implica l’obbligo morale di ripartire il danno, mentre sarebbe non giustificato dal punto di vista etico lasciare che sia la parte più debole a sopportare i maggiori oneri.

Circostanze che determinano il mancato pagamento

Oltre ai limiti della rimborsabilità dei debiti, vanno valutate le implicazioni morali connesse con le circostanze che determinano il mancato pagamento:

• comportamento negligente, di colui (debitore o creditore) che non intende causare danno e non è consapevole che le azioni che sta assumendo comportano il rischio di causarlo, ma il danno sorge ugualmente dal mancato rispetto di ragionevoli standard. Non vi è violazione di standard etici se le parti sono entrate in un accordo e fanno del loro meglio per assicurare che questo abbia successo, ma non sono state abbastanza attente e informate relativamente a tutti i possibili rischi;

• irresponsabilità, ovvero quando il debitore non ha intenzione di causare danno, ma prende in considerazione che il corso di azioni intrapreso può comportare un rischio sostanziale di produrre danno e consapevolmente sceglie di procedere con l’azione. Sotto il profilo etico, il comportamento non è giustificabile perché l’assunzione consapevole equivale a mentire. Tutti i debitori (e i creditori) sono consapevoli del rischio di insolvenza, ma alcuni di questi lo accettano in modo irresponsabile. Una persona ragionevole non dovrebbe prendere a prestito più di quanto può ripagare e questo è sufficiente per imporre qualche responsabilità morale sugli insolventi, alla quale fa da contraltare, se esistente, la responsabilità morale del creditore che abbia concesso credito eccessivo;

• frode, che può avvenire prima dell’assunzione del debito (rappresentazione di un quadro informativo infedele, che, ove portato a conoscenza del creditore, ne avrebbe arrestato la concessione del credito) o dopo (comportamenti che riducono dolosamente da parte del debitore la capacità di rimborsare il debito). Non c’è nessuna teoria morale concretamente applicabile che possa giustificare comportamenti fraudolenti.

Quali soluzioni soddisfacenti per trattare l’insolvenza?

Riprendiamo la domanda originaria: l’insolvenza merita stigma morale? Se si supera lo stigma e si oggettivizzano le ragioni etiche comparate fondamentali, è possibile individuare soluzioni soddisfacenti dal punto di vista etico per trattare il problema dell’insolvenza?

Si individuano le seguenti risposte:

• le promesse o sono vincolanti o non sono, in quanto costituiscono la base per una comunità quando prende in considerazione i propri comportamenti e il loro coordinamento; le promesse sono violate dai debitori insolventi;

• in caso di insolvenza viene meno o risulta fortemente compressa l’autonomia del debitore. L’autonomia è principio superiore, intrinsecamente connesso con la natura umana e non necessita di alcun contratto; per questo motivo non può essere eccessivamente compressa. Si possono prevedere “regole di esenzione” che proteggono parzialmente e progressivamente l’autonomia del debitore, e fanno sì che egli sia tenuto a rimborsare parte del suo debito entro un dato periodo massimo e possa mantenere l’autonomia su una quota (di attività e) di reddito;

• l’individuazione delle soluzioni concrete risponde a un principio utilitaristico. Assumono rilievo: la comparazione tra le disutilità di debitore e creditore (che si trovano in condizioni di disagio normalmente diverse); il problema dei costi (anche sociali) connessi con il recupero del credito; il ridotto contributo alla società in caso di uscita dal circuito produttivo del debitore insolvente; il problema della deterrenza (se l’insolvenza è resa “sgradevole”, le persone cercheranno di evitare tale condizione); il problema dell’inasprimento degli standard di concessione da parte dei creditori per i periodi futuri. Tuttavia, se le “punizioni” equilibrate e con chiaro effetto deterrente possono avere giustificazione, le punizioni fini a sé stesse o comunque con effetto netto negativo in termini di utilità non sono, in ottica utilitaristica, accettabili. Bisogna quindi cercare di minimizzare i costi “inutili” come, per esempio, i costi psicologici e sociali dell’insolvenza (stigma sul debitore insolvente); tali costi possono avere effetti distruttivi sulla vita delle famiglie e questo a sua volta può comportare che il problema venga affrontato troppo tardi, quando ormai alcune azioni di rimedio non sono più praticabili;

• per quanto riguarda il comportamento delle parti, bisogna considerare, nella valutazione etica, se il debitore sia stato sconsiderato oppure negligente, come pure se il creditore abbia agito con trascuratezza o avventatezza. Gli errori di giudizio non sono tutti condannabili allo stesso modo. Ovviamente i comportamenti dolosi non sono eticamente mai ammissibili;

• la società, lo Stato – che a sua volta può essere creditore per obbligazioni fiscali – ha un ruolo particolare, perché non può “tirarsi indietro”, abbandonando al loro destino i cittadini-debitori in difficoltà e, d’altra parte, alcuni problemi di sovraindebitamento (nei quali il debito impropriamente funge da sostegno al reddito a fronte di esigenze di assistenza sociale e sanitaria) derivano dal fatto che lo Stato non fornisce (o fornisce in misura insufficiente) alcune prestazioni di sostegno sociale. Non va trascurato il fatto che a volte il debito funge da sostegno al reddito e quindi l’insolvenza è una manifestazione tardiva di un’insufficienza di reddito. Nell’individuazione della soluzione occorre quindi tenere presente che sul rapporto debitore-creditore possono scaricarsi problemi estranei alla pura dinamica creditizia e che pertanto devono essere risolti in altre sedi, di carattere collettivo e non bilaterale, più propriamente di assistenza e di sostegno al reddito. Il sollievo dai debiti non deve essere confuso con forme di assistenza verso i soggetti comunque svantaggiati (anche a prescindere dal loro indebitamento), altrimenti si avrebbe una situazione di disparità di trattamento (difetto di giustizia) tra soggetti la cui autonomia sia compressa perché, a seguito di insolvenza, sono assoggettati ad azioni di recupero e soggetti che, idealmente nella stessa situazione di reddito e di bisogni, vedano l’autonomia limitata ex ante dal fatto di non poter accedere al credito;

• un giudizio più maturo sul tema delle modalità adeguate, e rispettose di tutte le parti, per il trattamento dell’insolvenza del debitore retail dovrà in ogni caso tenere conto degli sviluppi della tecnologia e della diffusione delle applicazioni al credito dell’intelligenza artificiale. Infatti, il presupposto fondamentale dell’assetto corrente delle relazioni tra creditore e debitore, sia al momento della concessione sia nelle fasi di rimborso/recupero del credito, è basato sull’impianto generale delle asimmetrie informative, che svantaggiano il creditore nel momento in cui il debitore possa nascondere informazioni rilevanti (hidden information) o azioni dannose (hidden action) per il creditore. Gli sviluppi della tecnologia applicata al reperimento e trattamento delle informazioni (data lakes, big data, machine learning) cambiano tuttavia in modo fondamentale il quadro informativo nel rapporto debitore-creditore. Il giudizio etico sull’insolvenza, essendo basato sui rapporti tra i due soggetti, dovrà evolversi di pari passo, con un crescente favore verso la posizione del debitore.


Bibliografia
• Anolli M. (2021), Insolvenza e persona: profili etici, in Credito e responsabilità sociale, a cura di E. Beccalli, Vita e Pensiero, 2021.
• Chavanne D. (2017), Shaking Off Burdens–Debt Relief and Moral Intuitions, «Kyklos», 70(3), 381-401.
• Herbert M. J. (1990), As We Forgive Our Debtors: Bankruptcy and Consumer Credit in America, «University of Richmond Law Review», 25(1), 221-232.
• Kilborn J. J. (2013), The 5000-Year Circle of Debt Clemency: From Sumer and Babylon to America and Europe, «Nederlands Tijdschrift voor Burgerlijk Recht».
• Kilpi J. (1998), The ethics of bankruptcy, Psychology Press.


Autore
Mario Anolli, Università Cattolica del Sacro Cuore (mario.anolli@unicatt.it)