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Dizionario di dottrina
sociale della Chiesa

LE COSE NUOVE DEL XXI SECOLO

Fascicolo 2021, 4 – Ottobre-Dicembre 2021

Prima pubblicazione online: Dicembre 2021

ISSN 2784-8884

DOI 10.26350/dizdott_000070

Il debito estero dei Paesi in via di sviluppo e la dottrina dei debiti odiosi The Foreign Debt of Developing Countries and the Odious Debt Doctrine

di Mauro Megliani

Abstract:

ENGLISH

La dottrina dei debiti odiosi venne elaborata dal giurista russo Sack. Secondo Sack, un debito sarebbe odioso quando fosse contratto da un regime dispotico, per finalità contrarie agli interessi della popolazione e con la consapevolezza di questa situazione da parte dei creditori. Pur rispecchiando esigenze di giustizia contrattuale, la dottrina non ha basi giuridiche tanto nel diritto internazionale, quanto nel diritto interno. Tale dottrina è stata però sostanzialmente recepita nel Magistero ecclesiastico, che può frasi promotore di azioni volte alla sua formalizzazione.

Parole chiave: Paesi in via di sviluppo, Debito estero, Dottrina dei debiti odiosi, Valore giuridico, Giustizia contrattuale
ERC: SH2_4 Legal studies, constitutions, human rights, comparative law SH2_5 International relations, global and transnational governance

ITALIANO

The odious debt doctrine was elaborated by the Russian jurist Sack. In the view of Sack, a debt would be odious if contracted by a despotic régime, against the interest of the population and with the lenders’ awarness of all that. Although reflecting demand for contractual justice, the odious debt doctrine has not legal underpinnings, in both international and internal law. By contrast, the Church’s Magisterium has substantively acknowledged this doctrine and may promote initiatives leading to its formalisation.

Keywords: Developing Countries, Foreign Debt, Odious Debt Doctrine, Legal Value, Contractual Justice
ERC: SH2_4 Legal studies, constitutions, human rights, comparative law SH2_5 International relations, global and transnational governance

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Definizione

La “odiosità” di un debito è stata sovente utilizzata come argomento per affermare l’invalidità di un prestito contratto dal governo di un Paese in via di sviluppo. Una tale invalidità comporterebbe il venir meno dell’obbligo di ripagare il prestito. Il venir meno di quest’obbligo avrebbe un impatto significativo sulla dinamica dell’indebitamento dei Paesi in via di sviluppo.

La dottrina dei debiti odiosi venne elaborata nel 1927 dal giurista di origine russa Alexander Sack. Analizzando le vicende dei debiti sovrani in rapporto ai casi di successione di Stati e governi, Sack si accorse che la regola del passaggio del debito non veniva sempre rispettata. La ragione di questo mancato rispetto andava ricercata nella “odiosità” del debito. Secondo Sack, un debito risulterebbe odioso se contratto da un regime dispotico, contro gli interessi della popolazione e nella piena consapevolezza di questa situazione da parte dei creditori.

La dottrina dei debiti odiosi così formulata cadde in oblio per parecchi decenni. Venne ripresa e utilizzata come argomento a supporto della cancellazione del debito dei Paesi più poveri nella cornice del Grande Giubileo del 2000. Il riaccendersi del dibattito intorno ai debiti odiosi portò ad una riformulazione della dottrina elaborata da Sack allo scopo di ampliarne la portata oltre il circoscritto fenomeno della successione di Stati e governi. L’elemento della contrazione di un prestito da parte di un regime dispotico venne pertanto sostituito con quello della contrazione di un prestito senza il consenso della popolazione. Dal momento che nei regimi democratici il consenso della popolazione in merito a impegni finanziari si esprime mediante gli organi parlamentari, tale consenso mancherebbe quando tali organi non autorizzassero la contrazione del prestito.

Parallelamente, venne elaborata la categoria dei debiti illegittimi (Hanlon, 2006). Questa categoria comprenderebbe, oltre ai debiti odiosi, debiti comportanti interessi usurai, debiti contratti da regimi oppressivi, debiti per finanziare la realizzazione di progetti inutili e debiti per l’arricchimento di funzionari governativi. L’ampio dibattito intorno alla legittimità/odiosità dei debiti pone la questione se tale qualificazione rivesta solo una valenza politica da far valere in seno ad un processo di ristrutturazione del debito estero o se possieda anche un fondamento giuridico tale da mettere in discussione la validità del contratto di prestito in sede contenziosa.

Il valore giuridico della dottrina dei debiti odiosi

Se la nozione di debito illegittimo presenta contorni troppo vaghi e un contenuto troppo incerto per essere giuridicamente qualificabile, la dottrina dei debiti odiosi è sufficientemente definita per essere oggetto di una valutazione giuridica. Tale valutazione andrà condotta in base alla legge applicabile al prestito che può essere sia il diritto internazionale che un diritto interno.

Il diritto internazionale si applica ai prestiti concessi da stati nella cornice della cooperazione allo sviluppo oppure da istituzioni finanziarie multilaterali. A questo riguardo occorre fin da subito notare che il diritto internazionale non contiene norme - né pattizie, né consuetudinarie - che definiscano un debito come odioso. Neppure la Convenzione di Vienna del 1983 sulla Successione degli Stati rispetto ai beni pubblici, agli archivi e ai debiti pubblici ha accolto la dottrina dei debiti odiosi. La questione era stata sollevata durante i lavori preparatori, ma non si era coagulato un consenso sufficiente per recepire la nozione di debito odioso nel testo definitivo della convenzione.

Il diritto interno si applica ai prestiti contratti con soggetti privati (banche e obbligazionisti). Tali prestiti sono in genere soggetti alla legge di New York o a quella inglese in base alla scelta delle parti. Neppure gli ordinamenti interni offrono una soluzione al problema. Il punto è implicitamente sottolineato nei Guiding Principles on Foreign Debt and Human Rights del Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite (2011) dove si afferma che i criteri per stabilire l’odiosità del debito dovrebbero essere oggetto di apposita definizione a livello nazionale (punto 86d).

Allo stato dell’arte, né il diritto internazionale, né il diritto interno offrono sufficienti appigli per attribuire alla dottrina dei debiti odiosi una qualificazione giuridica tale da rendere invalido un accordo di prestito. Nondimeno, la dottrina dei debiti odiosi riflette esigenze di giustizia che chiedono adeguate risposte.

Il debito estero nella dottrina sociale cattolica

In relazione al debito estero, il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (2004) afferma che, in linea di principio, ogni debito deve essere ripagato. Il ripagamento del debito non deve però pregiudicare il diritto dei popoli alla sussistenza e al progresso (n. 450). Già nella lettera enciclica Centesimus annus (1991) il pontefice Giovanni Paolo II aveva puntualizzato che l’obbligo di ripagare il debito estero viene meno quando comporti insopportabili sacrifici tali da spingere alla fame e alla disperazione intere popolazioni. In questi casi si rende necessario trovare modalità di alleggerimento, di dilazione o anche di estinzione del debito, compatibili col fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso (n. 35). Il Compendio va però oltre l’affermazione di un principio, l’introduzione di un limite e l’indicazione delle modalità di soluzione del problema. Esso descrive le cause del fenomeno che sono sia di carattere esogeno – fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico –, sia di carattere endogeno – corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti (n. 450). Questo secondo profilo è stato in seguito ripreso nelle Oeconomicae et pecuniariae quaestiones (2018, 32). Non vi è dubbio che le cause di carattere endogeno riflettono l’odiosità di un prestito caratterizzato da uno scorretto utilizzo delle risorse.

La questione della giustizia contrattuale

La dottrina dei debiti odiosi evoca la questione della giustizia contrattuale. Il tema non è certo nuovo nella dottrina sociale della Chiesa. Già il pontefice Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum (1891) parlava di una “giustizia naturale, anteriore e superiore alla libera volontà dei contraenti” che, da un lato, deve permeare la libera formazione del consenso e, dall’altro, deve fungere da criterio riequilibratore del contratto (n. 34). Le considerazioni svolte da Leone XIII in relazione ai contratti di lavoro subordinato vennero estese ai rapporti internazionali dal pontefice Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio (1967). Con particolare riferimento alle dinamiche del commercio internazionale, l’enciclica afferma che “la libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale” (n. 59). In un contesto internazionale, la nozione di giustizia contrattuale elaborata da Leone XIII diviene giustizia sociale o, in altre parole, giustizia tra i popoli. A questo proposito, la Populorum progressio ricorda come “nel commercio tra economie sviluppate e in via di sviluppo, le situazioni di partenza sono troppo squilibrate e le libertà reali troppo inegualmente distribuite. La giustizia sociale impone che il commercio internazionale, se ha da essere cosa umana e morale, ristabilisca tra le parti almeno una relativa eguaglianza di possibilità” (n. 61). In questo senso, l’enciclica anticipa il meccanismo della inégalité compensatrice che avrebbe dovuto essere il perno del nuovo ordine economico internazionale (basato su una serie di risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale ONU nel 1974) e indica le convenzioni internazionali come strumento per raggiungere questo obiettivo (n. 61). L’enciclica affronta direttamente il tema del debito estero dei Paesi in via di sviluppo sotto più punti di vista (n. 54). Innanzitutto, gli apporti finanziari debbono essere coerenti con i bisogni reali e le possibilità di impiego delle risorse mutuate. Inoltre, i tassi di interesse e l’ammortamento del debito debbono essere sostenibili. Infine, i prestiti non debbono essere legati a ingerenze politiche o a modifiche radicali nella struttura sociale. Tutti questi requisiti rientrano nel più ampio concetto di giustizia nelle relazioni internazionali (n. 61). L’enciclica non affronta esplicitamente il tema dei debiti odiosi, ma quando parla di bisogni reali e impiego nei Paesi beneficiari indubbiamente evoca il profilo di un uso delle risorse nell’interesse della popolazione dello Stato debitore.

La Pontificia Commissione Iustitia et Pax

La Pontificia Commissione Iustitia et Pax venne creata da Paolo VI nel 1967 per dare attuazione al desiderio espresso dai Padri Conciliari nella Costituzione apostolica Gaudium et spes (1965) di creare un organismo capace “di promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni” (n. 90). Nel 1988 la Commissione venne trasformata nel Pontificio Consiglio della giustizia e della pace e a partire dal 2017 le sue funzioni sono confluite nel nuovo Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Fra i primi atti compiuti dalla Commissione un posto di rilievo riveste il documento Al servizio della comunità umana: un approccio etico al debito internazionale (1986). Il documento nasce come strumento di analisi e riflessione della crisi del debito estero dei Paesi latino-americani della prima metà degli anni Ottanta dello scorso secolo. Esso rimarca come il puntuale ripagamento del debito non possa essere ottenuto al prezzo del fallimento dell’economia di un Paese debitore, poiché nessun governo può moralmente esigere da un popolo privazioni incompatibili con la dignità della persona. In queste situazioni, la richiesta dei creditori di un puntuale ripagamento del debito, per quanto legalmente fondata, costituirebbe un abuso. I creditori sarebbero invece chiamati a consentire delle proroghe, a condonare parzialmente o anche totalmente i debiti, ad aiutare i debitori a tornare solventi (II. Affrontare le urgenze). La posizione espressa dalla Commissione venne successivamente avallata da Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo rei socialis (1987) dove si afferma che, di fronte a una crisi del debito, il ricorso al mercato dei capitali ha un duplice effetto negativo. I governi dei Paesi debitori, da una parte, destinano al ripagamento del debito risorse destinate allo sviluppo e, dall’altra, non riescono ad accedere a nuovi finanziamenti (n. 19).

Il documento della Commissione indica come strumento di giustizia sociale la ristrutturazione del debito in tutte le sue forme, fino alla cancellazione. In questo senso, il documento anticipa i processi di riduzione sia dei debiti bilaterali (Termini di Toronto, 1988), sia dei debiti con i creditori privati (Piano Brady, 1989). Va però sottolineato come tale documento non si limiti ad analizzare le cause e a proporre soluzioni per l’indebitamento degli Stati, ma indichi anche quali responsabilità debbano assumersi sia i creditori che i governanti dei Paesi debitori per prevenire crisi future (III. Assumere solidalmente le responsabilità per l’avvenire). A questo riguardo, si sottolinea che “i detentori del potere nei Paesi in via di sviluppo devono accettare che siano chiariti i loro comportamenti e le loro eventuali responsabilità nell’indebitamento del loro Paese: negligenza nella messa in opera di strutture adatte o abusi nell’uso delle strutture esistenti come le frodi fiscali, la corruzione, le speculazioni monetarie, la fuga di capitali privati, i bakscisc (compensi illeciti) nei contratti internazionali. Questo dovere di trasparenza e di verità permetterà di meglio stabilire le responsabilità di ognuno, di evitare i sospetti ingiustificati, e di proporre delle riforme adatte e necessarie sia nelle istituzioni sia nei comportamenti” (III.2 Responsabilità dei Paesi in via di sviluppo).

Non vi è dubbio che il documento della Commissione contenga in nuce gli elementi della dottrina dei debiti odiosi. Un contratto di finanziamento che sia viziato di tali irregolarità, presuppone un accordo tra le parti, una violazione delle regole costituzionali del Paese debitore sulle modalità di assunzione del debito e una destinazione delle risorse mutuate in contrasto con gli interessi della popolazione.

Dimensione globale e debiti odiosi

Fin dalla Populorum progressio la Chiesa ha sottolineato come la questione sociale, incluso il debito estero dei Paesi in via di sviluppo, rivesta una dimensione internazionale (n. 3). Una tale dimensione richiama l’esigenza di un’etica delle relazioni internazionali. Il punto è sottolineato nell’enciclica Laudato si’ (2015) in relazione al “debito ecologico” (n. 51), ma è di portata sufficientemente ampia da includere ogni profilo dello sviluppo, incluso il debito estero. Il profilo del debito estero viene più specificamente affrontato nell’enciclica Fratelli tutti (2020) ove viene ricordato come il fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso a volte risulti ostacolato dalla pressione derivante dal debito estero, il cui ripagamento limita e condiziona lo sviluppo. L’enciclica accetta in linea di principio che ogni “debito legittimamente contratto” deve essere onorato, ma chiarisce che le modalità di adempimento di tale obbligo non devono andare a compromettere la sussistenza e la crescita dei Paesi poveri (n. 126). Questo approccio è coerente con un’etica globale di solidarietà e cooperazione caratterizzata dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana (n. 127). Una tale etica presuppone la chiusura dei paradisi fiscali e la lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio di danaro sporco (Francesco, Intervento alla 75a riunione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 2020).

Nella Fratelli tutti si ritrova una sintesi in chiave evolutiva del magistero della Chiesa nei confronti del debito estero dei Paesi in via di sviluppo: una giustizia economica internazionale che corregga gli squilibri connessi alle modalità di ripagamento e una giustizia contrattuale internazionale che assicuri una legittimità del prestito. Il salto qualitativo rispetto al magistero pregresso è dato dalla nozione di “debito legittimamente contratto” in cui inevitabilmente si rispecchia la dottrina dei debiti odiosi.

Il ruolo della Chiesa

Come sopra descritto, il magistero della Chiesa in materia sociale ha accolto nella sostanza la dottrina dei debiti odiosi. Il suo compito consiste quindi nel far sì che essa venga recepita sia a livello normativo che a livello pratico, anche nella più ampia prospettiva di una riforma della architettura politica, economica e finanziaria internazionale (Caritas in veritate, 2009, 67).

Profilo normativo

Uno dei problemi della dottrina dei debiti odiosi consiste nella mancanza di una chiara base giuridica, tanto nel diritto interno quanto nel diritto internazionale. Per colmare questa lacuna sarebbe opportuno un intervento della più importante istituzione internazionale: le Nazioni Unite. Un tale intervento potrebbe concretizzarsi attraverso due modalità: un ricorso in sede consultiva alla Corte internazionale di giustizia e una dichiarazione di principi da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Con riferimento alla prima modalità, occorre ricordare che lo statuto della Corte prevede che essa possa fornire pareri su qualunque questione di diritto internazionale a organi autorizzati a richiederli in base alla Carta delle Nazioni Unite (Art. 65 Statuto corte). Tali organi sono l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, nonché altri organi delle Nazioni Unite o istituti specializzati autorizzati dall’Assemblea generale (Art. 96 Carta ONU). In questa cornice, l’Assemblea generale potrebbe chiedere alla Corte di chiarire quali regole internazionali si applichino al fenomeno del debito estero dei Paesi in via di sviluppo. Il parere della Corte non ha effetti vincolanti, ma può contribuire alla formazione di norme internazionali, come nel caso della dottrina dei debiti odiosi.

Con riferimento alla seconda modalità, occorre ricordare che le dichiarazioni di principi sono risoluzioni che rivestono un particolare significato (vedi la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948). In quanto risoluzioni, le dichiarazioni sono atti non vincolanti, ma in alcune situazioni possono sortire effetti giuridici. Ciò avviene quando esse vadano a codificare norme consuetudinarie o principi generali del diritto. Questo non è il caso della dottrina debiti odiosi. Tuttavia, una dichiarazione che ne recepisca i contenuti rivestirebbe una indubbia autorevolezza e rifletterebbe un valore della Comunità internazionale. La Santa Sede non è membro delle Nazioni Unite e quindi non può partecipare ai lavori dell’Assemblea generale. Tuttavia, il suo status di osservatore permanente le consente di stimolare gli Stati membri a formalizzare una richiesta di parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia o ad adottare una risoluzione/dichiarazione sulle regole applicabili al debito estero, tra cui la definizione di debito odioso.

Profilo pratico

Il requisito fondamentale della dottrina dei debiti odiosi consiste nel fatto che il prestito non vada a beneficio della popolazione. Questo requisito è facilmente rilevabile nel caso di prestiti bilaterali, prestiti concessi dalle istituzioni finanziarie multilaterali e prestiti contratti con le banche commerciali che sono legati alla realizzazione di uno specifico progetto di sviluppo. Esso è meno facilmente rilevabile nel caso di prestiti obbligazionari che costituiscono una importante fonte di finanziamento dei Paesi in via di sviluppo. Ciò è dovuto a due caratteristiche intrinseche a tali prestiti. In primo luogo, il prestito obbligazionario è generalmente inteso come una forma di finanziamento al fabbisogno generale dello stato e, quindi, non è vincolato ad un particolare progetto. In secondo luogo, i titolari delle obbligazioni non coincidono con coloro che hanno negoziato l’accordo di prestito.

Questi problemi potrebbe essere risolti mediante la creazione di un meccanismo concernente la accountability di tutti i prestiti contratti dai Paesi in via di sviluppo, strutturato in una componente ex ante e in una componente ex post. La componente ex ante si baserebbe su un meccanismo pubblico mediante il quale sia il debitore che i creditori si impegnano a enunciare le finalità del prestito. La componente ex post si baserebbe sul continuo monitoraggio dell’utilizzo delle risorse.

Anche sotto questo profilo la Chiesa ha un ruolo da giocare. Sia promuovendo il sistema delle certificazioni “etiche” dei prestiti sovrani (Caritas in veritate, 45), sia favorendo la creazione di sistemi di monitoraggio da parte della società civile. Vigilando, al contempo, che i meccanismi di accountability, sia ex ante che ex post, non siano usati in modo distorto ma riflettano effettivamente la dignità umana e la trascendenza delle norme morali (ibid.).


Bibliografia
Adams P. (1991), Odious Debts: Loose Lending, Corruption and the Third World’s Environmental Legacy, Earthscan.
Buchheit L.C. - Gulati G.M. Thompson R.B. (2007), The Dilemma of Odious Debt, «Duke Law Journal», 56, pp. 1201-1262.
Hanlon J. (2006), Defining “illegitimate debt”: When Should Creditors Be Liable for Improper Loans?, in C. Jochnick & F. Preston (eds.), Sovereign Debt at the Crossroads, Oxford University Press, pp. 109-131.
Sack A. (1927), Les effets des transformations des Etats sur leurs dettes publiques et autres obligations financières: traité juridique et financier, Recueil Sirey.
Wong Y. (2012), Sovereign Finance and the Poverty of Nations: Odious Debt in International Law, Edward Elgar Publishing.


Autore
Mauro Megliani, Università Cattolica del Sacro Cuore (mauro.megliani@unicatt.it)